giovedì 9 febbraio 2017

Conti pubblici: Italia commissariata e svenduta, ma la priorità è la Raggi

di | 9 febbraio 2017   Il Fatto Quotidiano

Allarme spread! Bisogna tagliare il debito pubblico e attuare nuove privatizzazioni!
Ci risiamo, con il pretesto di uno starnuto dei ‘mercati’, la politica è pronta a mettere nuovamente le mani in tasca allo Stato, replicando gli interventi già sperimentati in passato e che si sono rivelati utili per la finanza internazionale, e dannosi per la collettività.
Dall’inizio della crisi l’Europa ha posto in essere una serie di provvedimenti finalizzati a tutelare, a tutti costi, “la stabilità finanziaria della zona euro” (principio introdotto nell’art. 136 del Tfue e richiamato nel trattato istitutivo della Troika, il Mes). Come? Trasferendo i costi del fallimento del mercato unico sui conti pubblici degli Stati e sulle spalle dei cittadini che hanno dovuto subire pesanti riforme in senso peggiorativo: riforma del sistema pensionistico, privatizzazioni, drastica riduzione dei diritti dei lavoratori, tagli ai salari, aumento della pressione fiscale e sempre minori risorse per il welfare e i servizi pubblici.
Risultato? La crisi è sempre più acuta, la ‘ricetta’ europea si è rivelata un clamoroso fallimento, eppure continuano ad utilizzarla, come se niente fosse.
La verità è che una soluzione è giusta o sbagliata a seconda della prospettiva da cui la si osserva. Per i ‘mercati’ la struttura politica messa in piedi dalla leadership europea e dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni è una sorta di paradiso economico artificiale dove potere ordinare riforme  fregandosene della volontà popolare, dove potere considerare normale la svendita della democrazia in cambio di un prestito finanziario (leggasi Troika/Mes), dove un mercato unico fallimentare, impunito e non oggetto di discussione, rappresenta un’occasione in più per fare shopping di beni pubblici e di diritti sociali. Poco importa, poi, se il paradiso di qualcuno è l’inferno per qualcun altro (i cittadini).
La riduzione del debito pubblico (che è comunque un problema, per carità) è solo un pretesto, ormai lo sappiamo, ed è davvero preoccupante che si continui a far finta di nulla riproponendo interventi del passato che hanno soltanto aggravato la crisi. Basti solo pensare che gli interessi finanziari dell’Eurozona sono stati salvati con fondi europei alimentanti dagli Stati, che hanno inciso negativamente sul debito pubblico.
Semplice: risorse illimitate per il sistema finanziario globale, vincoli di spesa per i cittadini. Sarebbe comico se non fosse tragico.
Dovremmo ribellarci a tutto questo, e farlo al più presto. Il nostro futuro dipende da questo.
Il caso ‘Raggi’ – al di là di chi ha torto o di chi ha ragione – sta servendo da ‘scudo’ ad una ulteriore fase di ‘svendita’ del paese. Esattamente come quando nel 2011 le inchieste su Berlusconi oscurarono l’attacco alla nostra democrazia ben sintetizzato nelle richieste dei ‘mercati’, contenute nella famosa lettera della Bce inviata al governo Berlusconi. Un po’ come trovarsi in spiaggia a litigare per una sdraio e due ombrelloni incuranti dell’arrivo di uno tsunami.
di | 9 febbraio 2017

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poco da aggiungere se non che la gente ci crede pure....

mercoledì 8 febbraio 2017

"Il futuro, disastro a cui non voglio assistere”

“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un'arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto”.
Michele
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sapete cos'è questa lettera,vero? No vi devo dire che è un giovane 30enne precario, vero? E non è figlio del profondo sud ma è del nordest, sapete anche questo vero? Bene.. chi di voi oggi e/o in passato ha votato per chi sappiamo bene o i suoi predecessori se ne porta il peso morale addosso: spero sia insopportabile!!!
ecco qui cosa ne pensasul Fatto Quotidiano
personalmente credo che questo suicidio in un paese che davvero tiene ai propri figli e al proprio futuro avrebbe fatto muovere anche i più riottosi; invece.... a parte i social la cosa è passata praticamente sotto silenzio!!!!

martedì 7 febbraio 2017

V° colonna...

E se non bastassero i media a terrorizzare i ns connazionali con improbabili scenari apocalittici..... ci si mette anche Prodi. Già proprio lui, ossia chi ci tassò con un prelievo per 'entrare' ora ci dice che pur di restarci dovremmo accettare di essere l'europa di serie 'B'; capiamoci: con i politici che sappiamo esprimere  non ci meritiamo nemmenola serie B... ma così è.
Ricapitoliamo:
  1. La Francia si avvia a uno scrontro epico fra i no euro e l'establishment;
  2. i no euro tedeschi diventeranno la spina nel fianco della Merkel (per la quale arrivano pessime notizie dall'economia interna che, nonostante il surplus eccessivo, per la prima volta conosce un bel -3% della propria economia) alle prossime elezioni;
  3. In Spagna ci sono mai sopite tensioni e pulsioni indipendentiste;
  4. la Brexit viaggia per la propria strada   
e in Italia? Un qualsiasi Prodi che è già pronto ad accettare, e a farci accettare, la serie B

lunedì 6 febbraio 2017

Cosa verrà dopo il Movimento 5 Stelle?

di | 6 febbraio 2017  Il Fatto Quotidiano

I sondaggi hanno cominciato a registrare un’inversione di tendenza che mostra come ormai sia evidente il rischio di un rapido disfacimento dell’esperienza politica del Movimento 5 Stelle. L’affare Raggi è l’apoteosi di un progetto politico caratterizzato da tratti marcati di improvvisazione organizzativa, crescenti derive autoritarie, comportamenti al limite della legalità e relazioni opache e poco trasparenti. Per continuare a sostenere la tesi della funzione positiva del grillismo come strumento di cambiamento della politica nazionale, è chiaro che oggi non si può più continuare a legittimare errori, ingenuità e autoritarismi in nome della constatazione che “gli altri sono peggio di noi”. Chi ha votato il Movimento 5 Stelle non voleva qualcosa di meno peggio, ma di meglio, e anzi spesso molto meglio, di quanto offerto dal decadente panorama politico post berlusconiano. Oggi quel molto meglio rimane una chimera costantemente rivendicata a parole, ma tragicamente sconfessata dai fatti.
Per quanto allora sarà possibile aggregare ancora consenso in funzione di mero contrasto a personaggi e ceti politici indigeribili? E, in modo ancora più esplicito, quali sono gli orizzonti che si aprono dopo il fallimento della prima fase di ascesa politica del Movimento?
Il primo è continuare a rivendicare una diversità che giorno dopo giorno si fa sempre più fatica a vedere ed è spesso contraddetta da pratiche opache di gestione quotidiana degli affari pubblici. E’ la tentazione della performance teatrale che si colloca in piena continuità con venti anni di pubblicità berlusconiana. Ma l’esperienza recente del referendum costituzionale dimostra che le promesse non mantenute stancano presto. Un gran numero di persone che hanno votato per il Movimento 5 Stelle desiderano un cambiamento vero della politica italiana, non assistere a un teatro di avanspettacolo o presa in giro collettiva. Continuare a ascoltare lo slogan di ‘uno vale uno’, e vedere poi che uno decide per tutti è operazione logorante anche per chi ha deciso di fare di pazienza virtù come scelta di vita. Le prossime elezioni rischiano di conseguenza, seguendo questa strada, di segnare il punto di non ritorno di un’esperienza politica che ha rappresentato per molti l’ultima occasione per costruire un’Italia migliore e che rischia, una volta conquistati un certo numero di seggi, di produrre un’ennesima classe dirigente che lotta con i denti per perpetuare i propri privilegi.
Il secondo orizzonte consiste nel trasformare un movimento carismatico e autoritario in un partito realmente democratico in cui le classi dirigenti sono selezionate in base al merito e alle capacità e non al caso. Il movimento della democrazia 2.0 diventa in questo scenario una rete di laboratori politici dal basso in contatto non solo con il vertice ma con le parti migliori della società civile: le associazioni, la scuola, l’imprenditoria sociale, eccetera. Un partito che seleziona il proprio ceto dirigente in questo modo ha il vantaggio di presentarsi di fronte agli elettori con una vera legittimazione sociale. Ma questo percorso significa anche smettere di cercare il colpo di teatro, lo slogan facile, la politica ridotta a battuta da cabaret. Vuol dire intraprendere un percorso di democrazia autentica, che ridimensiona la verticalizzazione della catena gerarchica che si sta stringendo al collo del movimento. Non sono le elezioni di primavera il traguardo di questo tragitto, ma la costruzione di un progetto che duri nel tempo e non abbia i piedi di argilla, ma zampe di elefante piantate nel terreno.
Il terzo orizzonte infine è rappresentato dalla scelta più radicale: lo scioglimento del movimento lasciando che le energie positive che lo hanno animato cerchino nuovi canali di espressione. Sarebbe una presa di atto che i temi che la politica deve oggi affrontare sono troppo seri e importanti per essere governarti da un populismo 2.0 che nessuno scienziato politico serio si sognerebbe mai di scambiare per vero processo di rinnovamento democratico. Può sembrare una soluzione che è un’ammissione di sconfitta. Ma se è vero che la politica deve nutrirsi di valori, l’ammissione dei propri errori più che un demerito dovrebbe essere vista come un insegnamento rivolto a coloro che seguiranno. Si può essere animati delle migliori intenzioni ma si può sbagliare. E sbagliare significa prendere atto che ci sono altre strade e che è giusto che altri possano immaginare nuove linee di orizzonte possibili.
di | 6 febbraio 2017

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.... d'altronde in un intervista lo stesso capo carismaticvo lo disse chiaramente.. abbiamo fermato qualcosa di peggio, ci dovrebbero ringraziare.
E' una questione annosa che pervade da anni la ricerca sociale, soprattutto americana, che cercava di capire origini, strutture, evoluzioni di movimenti tipo quello di R. Nader di cui i 5Stelle sembrano ricalcare orme e, soprattutto, errori.
Non è solo il 'problema Raggi' ma una serie di fattori, benissimo spiegati dall'articolo (non sto a fare doppioni), che dal punto di vista del trend evolutivo del movimento fanno emergere segnali che vanno proprio nel senso di una sua dipartita prematura e di una sua sotituzione con qualcosa che assomiglierà più... a Trump che a marion lepen; ipotesi? Vedremo.. personalmente penso che il populismo lo fanno i politici in primis e quindi vale la regola 'chi è senza peccato.....' e non ci farà del male un bagno nell'oceano del populismo!!!

domenica 5 febbraio 2017

Acqua, consumatori e movimenti: “Lo studio presentato da Utilitalia è una manovra lobbistica a danno dei cittadini”

di | 3 febbraio 2017  Il Fatto Quotidiano

Sul fatto che il sistema idrico italiano abbia grossissime e preoccupanti falle sono tutti d’accordo. Le divergenze, che spesso finiscono in veri e propri scontri, nascono quando si deve decidere come uscire dall’impasse: da una parte c’è il settore che chiede più soldi per fare investimenti, soldi che dovrebbero arrivare dall’aumento delle bollette dell’acqua, dall’altra ci sono le associazioni che difendono i consumatori secondo cui le tariffe sono già troppo alte a fronte di un servizio pessimo se non addirittura pericoloso per la salute. Ad accendere di nuovo la miccia è questa volta lo studio Blue Book, promosso da Utilitalia e realizzato dalla fondazione Utilitatis con il contributo scientifico di Cassa depositi e prestiti. Uno studio contro cui si sono scagliate le associazioni dei consumatori e i movimenti a difesa dell’acqua. Nel mirino in particolare la parte in cui si sostiene che per risollevare il settore l’unica soluzione è una politica tariffaria “full cost recovery”: alzare il prezzo dell’acqua per i cittadini e adeguarlo a quello medio europeo che sarebbe più alto.
“Non possono essere i consumatori a pagare 5 miliardi di investimenti all’anno, fabbisogno stimato da Utilitalia”, dice l’associazione Codici che spiega: “Ci sono città che arrivano a pagare cifre sproporzionate per un servizio che non viene loro offerto, per un’acqua che è ben lontana dall’essere potabile, eppure pagano per una depurazione che non viene effettuata”. Dunque, continua Codici, lo studio di Utilitatis non è altro che “un ulteriore strumento per fare azione di lobby e per chiedere all’Autorità più soldi per fare investimenti”. Senza contare che queste maggiori risorse, alla fine, “non equivalgono ad investimenti necessari ed utili” ma “andranno a nutrire ulteriormente l’inefficienza del management che viene collocato ad hoc da nomine politiche nazionali e locali, ingrossando ulteriormente le fila del clientelismo”. Contattata da ilfattoquotidiano.it, Utilitalia non ha voluto commentare.

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Il resto, naturalmente sul Fatto online.... commenti?

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