giovedì 16 giugno 2016

Brexit, come sarebbe l’Europa del 2026

di | 16 giugno 2016 dal Fatto Quotidiano
Cosa sarà dell’Europa se vince la Brexit? Le differenze culturali, politiche ed economiche tra i diversi paesi membri potrebbero accentuarsi ancora di più, fino ad arrivare al dissolvimento dell’Unione e alla formazione di due blocchi in contrasto fra loro. Uno scenario immaginario, ma non troppo.
di Gianni De Fraja * (fonte: lavoce.info)
23 giugno 2026
Ieri, 23 giugno 2026, era il decimo anniversario della vittoria a sorpresa del referendum per l’uscita dall’Unione Europea di quello che allora si chiamava Regno Unito. È quindi di profondo valore simbolico la data scelta dal primo ministro del Resto del Regno Unito, Boris Johnson, fiancheggiato dal suo ministro degli esteri Nigel Farage, per la firma dell’accordo per l’ingresso del Ruk nell’Associazione dell’Europa Baltica, presieduta da Angela Merkel. Il referendum confermativo dell’accordo, programmato per il mese prossimo, sarà una pura formalità: i sondaggi indicano una maggioranza a favore addirittura superiore a quel 68 per cento che in marzo portò la Scozia nell’Aeb.
Due Europe
Si chiude così in modo definitivo la scissione dell’Europa in due blocchi economicamente e culturalmente separati. Nonostante entrambi i blocchi avessero alacremente corteggiato l’Inghilterra, l’interesse dimostrato da Johnson per l’Unione del Mediterraneo del Nord si è rivelato spudoratamente tattico, volto a ottenere le migliori condizioni possibili nelle negoziazioni con Merkel. Da ieri, i due blocchi hanno esattamente lo stesso numero di membri e ciascuno la metà esatta dei 28 membri della vecchia Ue, che raggiunse la massima dimensione storica dopo l’adesione della Croazia nel 2013. Simbolico anche il fatto che ognuno dei due blocchi contiene tre dei sei membri fondatori dell’originale comunità del carbone e dell’acciaio; la simmetria è mantenuta anche dalle scelte delle quattro nazioni formatisi in seguito a secessioni da paesi membri, una tra le molte conseguenze dell’inaspettato voto del 2016.
La firma dell’accordo mette fine a un periodo della storia europea iniziato con le conversazioni, in tedesco, tra Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, che dettero il via all’unificazione l’Europa dopo i traumi delle guerre della prima metà del secolo scorso. Prima del referendum di dieci anni fa, c’erano stati segni premonitori, eventi che, con il senno del poi, erano chiari segnali che la fine del periodo di unità era un rischio presente e reale. La vecchia Unione si dimostrò infatti incapace di creare un piano coerente per gestire l’emergenza determinata dai profughi delle guerre civili nel medio oriente e nel corno d’Africa, il cui numero complessivo, pur grande in assoluto, era meno di un minuscolo 0,5 per cento della popolazione europea.
Prima ancora, l’Unione si era dimostrata incapace di proporre soluzioni sensate alla crisi economica della Grecia. Dopo la Brexit, la vecchia Unione Europea smise di attrarre nuovi membri, tutti si bloccarono in un gioco di attesa, nel sospetto, poi confermato dai fatti, che il continente si sarebbe diviso: i potenziali entranti attendevano la spaccatura, per decidere poi in quale blocco entrare, mentre ciascuno dei 28 membri aspettava che qualcun altro facesse la prima mossa. La morte dell’Ue fu davvero annunciata quando si rifiutò di appoggiare la feroce guerra all’Isis condotta da Hillary Clinton.
E ancor più due anni dopo, quando i suoi leader, intenti solo ad arruolare nel loro blocco i membri non ancora schierati, chiamarono “cassandre” i pochi che avevano intuito le intenzioni di Vladimir Putin e poi osservarono paralizzati l’esercito di Mosca annettere indisturbato le otto regioni orientali “dell’Ucraina russa”. L’inerzia fu un mortale dilemma del prigioniero, in cui la soluzione migliore per l’Europa era troppo costosa per ciascuno dei due blocchi preso a sé, nonostante fosse ovvio a tutti che le promesse dell’inesperta neo-presidente Sarah Palin di opporsi con fermezza al bullismo russo valessero meno di quelle di un marinaio ubriaco.
Davvero così separati?
Gli storici del futuro continueranno a immaginare scenari diversi, in cui il drammatico fallito attentato al principe Carlo due giorni prima del referendum non avviene, o in cui almeno 7.451 elettori non cambiano idea in conseguenza, e la Brexit è respinta. Per parte loro, i complottisti continueranno a insistere che qualcuno nei servizi segreti abbia scelto di non prevenire l’attentato nonostante le informazioni raccolte dagli infiltrati nel gruppo terrorista.
Certo, le differenze tra due visioni del mondo prevalenti nella popolazione e nelle élite politiche, culturali ed economiche delle nazioni d’Europa hanno sempre reso difficile formare politiche che accontentassero tutti, e le scelte radicalmente diverse fatte dai due blocchi in campi disparati, quali l’adesione al Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’atteggiamento verso i vaccini, il diritto di adottare per coppie gay e lesbiche, il commercio di cibi ogm, il peso relativo dei diritti individuali di fronte ai poteri statali, suggeriscono che una divisione della vecchia Ue sarebbe forse avvenuta comunque. Ma, è altrettanto possibile che un deciso voto britannico a favore dell’Ue avrebbe dimostrato al resto dell’Europa, e del mondo, che anche la nazione più euroscettica valutava i benefici di lungo periodo decisamente superiori ai costi e avrebbe riacceso l’entusiasmo nel resto del continente e cambiato così il corso della storia del XXI secolo.
*Ha conseguito il dottorato a Siena nel 1987 e il DPhil a Oxford nel 1990; è attualmente professore ordinario di Economia a tempo parziale presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e presso l’University of Nottingham ed è Research Fellow al Cepr. In passato è stato professore ordinario a York e a Leicester, e visiting scholar a Tokyo, Bonn, e Barcellona. La sua recente ricerca si è soffermata sulle aree dell’economia dell’istruzione, economia del lavoro, economia industriale, coprendo sia aspetti teorici, sia applicazioni empiriche. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla pubblicazione di articoli accademici in riviste internazionali. È stato direttore di dipartimento a Leicester, e co-ordinatore del dottorato a York, Leicester e Nottingham, e membro del GEV13 per la VQR 2016.

di | 16 giugno 2016
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personalmente trovo che sageri un pò ma con il futuro ignoto non si può mai dire... ma il punto rimane ed è dirompente: è meglio un'europa centrata sulla moneta o è meglio mandarla a farsi benedire e provare a fare altro?

mercoledì 15 giugno 2016

Report RAI3 CONFRONTING THE EVIDENCE Ita

Bè che dire?
Una famosa pubblicità diceva: 'basta la parola'
qui si potrebbe dire: 'basta report'

martedì 14 giugno 2016

Venti di guerra? O è il solito gioco al massacro?

Ci sono 3 notizie che mi fanno pensare e non sono buone; tutte trovate sul W.S.I.:
  1. 06 06 2016: 'Nato: pronti ad attaccare la Russia' ;
  2. 07 06 2016: 'Nato: imponente operazione anti Russia in Polonia';
  3. 13 06 2016: 'Germania si prepara a Guerra contro la Russia?'.
.. questi sono SOLO degli esempi, peraltro presi da una sola testa mediatica; ma se fate una semplice ricerca con le parole chiave 'guerra e russia' i link diventano tantissimi, molti sono in inglese, e dei più svariati media: non tutti sono complottisti e sbucano fuori anche istituti think thank euro-americani; insomma qualcosa bolle nella pentola e, vere o false che siano queste news in particolare, segnalano quantomeno che qualche gruppo di potere o singolo personaggio del variegato mondo al confine fra finanza e politica ci sta pensando..... e magari lancia un messaggio nel mondo delle notizie per vedere quali sono le reazioni non solo della gente comune ma anche degli altri concorrenti o alleati: insomma può darsi che sia una bufala, una delle tante, ma può anche darsi che non sia così e chi le produce, non certo i media, è talmente sicuro da non temere le eventuali reazioni che ci possono essere: in entrambi i casi, soprattutto se leggete queste tre news (hanno anche link esterni), non è un caso che ormai da qualche tempo gli stati hanno alzato considerevolmente le spese per armi e sistemi d'arma e i contratti con le società private di ventura vanno a mille...... d'altronde  le manovre militari ci sono state da un lato e dall'altro e i momenti di tensione non sono mancati.
Ora può darsi che si giochi a fare i bulli ma non ci siano vere intenzioni di sparare ma.. come capire la differenza fra una semplice esposizone di muscoli e uno schieramento preparatorio di un qualcosa? E come sperare di evitare che qualcuno, magari un pò nervoso, non spari il primo colpo?
Ansie? paure? Sono anni che ci vogliono terrorizzare con il pericolo interno e ora questo...

lunedì 13 giugno 2016

Brexit, tutti pronti per la catastrofe. Ma non fate appelli al ‘buon senso’ degli inglesi

di | 12 giugno 2016  dal Fatto Quotidiano

Chi ha paura della Brexit? Viene spontaneo rispondere: gli stessi che hanno paura di Virginia Woolf – la celeberrima rappresentazione teatrale riguardo alla fine del matrimonio di una coppia di mezza età – e cioè chi, semplicemente, temendo il cambiamento per motivi di conformità, sarebbe disposto a rimanere dentro un matrimonio che non funziona. Certamente non gli inglesi che, nonostante i decenni di europeismo, mantengono la loro storica flemma anche di fronte ai crolli in borsa legati alle aspettative del divorzio da Bruxelles.
La notizia bomba, lanciata dall’Independent alla fine di questa settimana, secondo cui il fronte della Brexit è a 10 punti di vantaggio rispetto a quello europeista, ha fatto affondare le borse europee. E fin qui non c’è nulla da dire, tutti sanno che l’uscita della seconda economia dell’Unione Europea – poiché ormai il Regno Unito de facto ha superato la Francia di Hollande – avrà ripercussioni disastrose sugli equilibri finanziari dell’Ue. Ma un’attenta analisi degli indici di borsa ci dice che la piazza affari che è scesa meno delle altre è proprio quella di Londra. Ed ecco i dati: Londra, – 1,7 per cento; Madrid – 2,6 per cento, Francoforte – 2,3 per cento; Parigi – 2 per cento; e come al solito il crollo massimo si è registrato a Milano – 3,6 per cento.
I blog finanziari londinesi, quelli riservati ai pochi eletti, come pure le riunioni a porte chiuse dei big della finanza britannica, anche loro sempre a porte chiuse, sono da mesi concentrati sugli effetti della Brexit, e tutti concordano che la catastrofe finanziaria, seguita a ruota da quella economica, sarà maggiore nel “continente” che nelle isole britanniche. E questo spiega il coro internazionale di voci “che contano” che si è levato a favore della permanenza nell’Unione. Mai nella storia contemporanea ci eravamo trovati di fronte ad una gamma così vasta di opinioni identiche: il Regno Unito deve rimanere nell’Unione a tutti i costi, anche contro la volontà dei propri cittadini, per il bene del mondo intero, dell’economia mondiale ecc. ecc.
Certo, nella City, pochi auspicano l’avvento di uno scenario apocalittico à la Brexit; i mercati e chi li governa vogliono la stabilità, ma pochi ormai considerano quella attuale una situazione stabile, un sentimento, questo, che è condiviso dalla maggior parte della popolazione britannica. L’opinione dominante è infatti che nei prossimi anni l’Unione si spaccherà, imploderà, perché è ormai un’istituzione anacronistica. Quindi, istintivamente il popolo inglese vuole uscirne. Non è poi detto che la Brexit si riveli una catastrofe. Potrebbe invece mettere in moto un meccanismo di revisione dell’Ue, benefico nel lungo periodo, e salvare l’Europa ed il mondo dall’implosione ‘naturale’ di questa istituzione nei prossimi anni. Ma agli inglesi tutto ciò importa poco, il popolo di sua maestà è solo concentrato sul futuro del proprio paese.
E’ possibile, anzi è probabile, che il 23 giugno la maggioranza degli inglesi voterà con il cuore, ascoltando il proprio istinto, invece che usando la testa. Matteo Renzi, che parla l’inglese come Alberto Sordi nel celeberrimo film Un Americano a Roma, pensa il contrario: “Alla fine prevarrà il buon senso”. Una frase che conferma la sua scarsa conoscenza del popolo britannico. Il buon senso britannico, infatti, non ha nulla a che vedere con quello europeo ed in particolare con quello italiano. Lo spirito indipendentista, isolazionista e nazionalista britannico non ha nulla di razionale, e certamente non può essere definito un esempio di buon senso, al contrario il concetto di “non mi piego finché non mi spezzo”, sul quale Churchill costruì tutta la sua retorica bellica, rasenta l’assurdo.
L’interazione con l’Unione Europea non ha tanto fiaccato questo spirito, anche se nei giovani è meno forte. Ed infatti le proiezioni mostrano che man mano che sale l’età, aumenta l’appoggio alla Brexit. Il divario generazionale ha ben poco a che vedere con la campagna elettorale a favore o contro la Brexit, anche perché è condotta male, con grande dispiego di bugie propagandistiche e dati inventati. Alla radice delle due visioni c’è un’opinione costruita negli ultimi decenni, non in base alle parole dei politici o alle previsioni di mercato, ma dei fatti. E questi ultimi non sono a favore di un’Unione forte e duratura. Sulla base di queste caratteristiche sui generis della popolazione britannica, pochi vorranno restare in Europa, perché temono la catastrofe.
Ciò che gli europei non comprendono è che questo tipo di slogan ha l’effetto opposto. Se infatti fosse vero che l’uscita danneggerebbe l’Ue ed il Regno Unito, allora per molti inglesi l’Unione è stata un errore, perché le condizioni secondo le quali la nazione vi è entrata erano ben diverse, e cioè movimento libero di merci e persone e nulla più, e vorrebbe dire che non sono state rispettate. Il consiglio, di chi vive da più di quaranta anni nel Regno Unito, ai vari politici e burocrati internazionali è il seguente: non vi preoccupate del Regno Unito, il popolo di sua maestà sa badare a se stesso, piuttosto preoccupatevi dei vostri cittadini e della catastrofe che si potrebbe abbattere sulle vostre finanze. Fossi in Renzi, invece di fare comizi anti Brexit, lavorerei alacremente al piano B di salvataggio delle banche italiane, non dimentichiamoci che la Banca d’Inghilterra è uno degli azionisti di maggioranza della Bce.
di | 12 giugno 2016

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... al di là di quale sarà il risultato del referendum ritengo che l'analisi, che qui vi propongo per intero, della Dr.ssa Loretta Napoleoni sia oltremodo indovinata dato che, oltre alla personale esperienza inglese della Napoleoni, è basata 'sui fatti' ossia: se la UE crolla gli inglesi, e chiunque abbia buon senso, non corrono a mantenerla in piedi con gli spilli ma ritenendolo un 'errore' se ne vanno; così semplicemente ...... se io firmo un contratto dove sono previste alcune condizioni ma la mia contrparte fa il furbo e vi introduce surrettiziamente altro (...) io posso o no ritenere che questo negozio giuridico sia nullo o no? O devo abbozzare per la paura di perdere i soldi investiti nel contratto? La risposta sarebbe ovvia se fossimo in un aula di tribunale, meno quando si ha a che fare con enormi e potenti insieme finanziario-burocratici e con la paura irrazionale....

domenica 12 giugno 2016

Mia è la vendetta.....

per par condicio ... si potrebbe dire 'quel che è fatto gli è reso', ma...  a pagarne lo scotto maggiore fu la popolazione civile che, pur se silenzionsamente, connivente fu la vittima principale della 'vendetta' perpetrata alla fine della guerra.... e anche quando furono fermati, in nome della guerra fredda e della cortina di ferro, nulla fu fatto per far risaltare l'evidente tragico aspetto che spesso negli stessi campi di concentramento in cui erano stati deportati ci finirono donne e bambini tedeschi: i gerarchi e gli scienziati erano lontani, aiutati dagli alleati e dal vaticano a filarsela, con chi prendersela?

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