venerdì 6 maggio 2016

Derrida e il decostruzionismo....

Stavolta, ben conscio di essere noioso, voglio proprio esagerare.........come sempre un autore controverso e discusso!!! Vi lascio per il weekend una notevole lezione del filosofo Carlo Sini su Derridà e il decostruzionismo: ossia la comprensione del mondo attraverso il "suo smontaggio".
Filosofia: una cosa molto fuori moda non avendo il giusto rilievo in una società tesa alla propria autodistruzione...
Questa è la sua scheda: fonte wikipedia.


buon week end ..... (alla ricerca della pietra) filosofale per decostruire questo mostro sociale
 

giovedì 5 maggio 2016

BREAKING! TTIP leaks: Greenpeace Olanda rivela i testi segreti del TTIP

04/05/2016 di triskel182
Avevamo ragione: confermati rischi per clima, ambiente e sicurezza dei consumatori
I cittadini hanno diritto di sapere: Greenpeace Olanda pubblica oggi su www.ttip-leaks.org parte dei testi negoziali del TTIP per garantire la necessaria trasparenza e promuovere un dibattito informato su un trattato che interessa quasi un miliardo di persone, nell’Unione Europea e negli USA. È la prima volta che i cittadini europei possono confrontare le posizioni negoziali dell’UE e degli USA.

Questi documenti svelano che noi e la società civile avevamo ragione a essere preoccupati: con questi negoziati segreti rischiamo di perdere i progressi acquisiti con grandi sacrifici nella tutela ambientale e nella salute pubblica!
Dal punto di vista della protezione dell’ambiente e dei consumatori, quattro gli aspetti seriamente preoccupanti:
  • Tutele ambientali acquisite da tempo sembra siano sparite
Nessuno dei capitoli che abbiamo visto fa alcun riferimento alla regola delle Eccezioni Generali (General Exceptions). Questa regola, stabilita quasi 70 anni fa, compresa negli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) della World Trade Organisation (WTO – in italiano anche Organizzazione Mondiale per il Commercio, OMC) permette agli stati di regolare il commercio “per proteggere la vita o la salute umana, animale o delle piante” o per “la conservazione delle risorse naturali esauribili”. L’omissione di questa regola suggerisce che entrambe le parti stiano creando un regime che antepone il profitto alla vita e alla salute umana, degli animali e delle piante.
  • La protezione del clima sarà più difficile con il TTIP
Gli Accordi sul Clima di Parigi chiariscono un punto: dobbiamo mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5 gradi centigradi per evitare una crisi climatica che colpirà milioni di persone in tutto il mondo. Il commercio non dovrebbe essere escluso dalle azioni sul clima. Ma non c’è alcun riferimento alla protezione del clima nei testi ottenuti.
  • La fine del principio di precauzione
Il principio di precauzione, inglobato nel Trattato UE, non è menzionato nei capitoli sulla “Cooperazione Regolatoria”, né in nessuno degli altri 12 capitoli ottenuti. D’altra parte, la richiesta USA per un approccio “basato sui rischi” che si propone di gestire le sostanze pericolose piuttosto che evitarle, è evidente in vari capitoli. Questo approccio mina le capacità del legislatore di definire misure preventive, per esempio rispetto a sostanze controverse come le sostanze chimiche note quali interferenti endocrine (c.d. hormone disruptors).
  • Porte aperte all’ingerenza dell’industria e delle multinazionali
Mentre le proposte contenute nei documenti pubblicati minacciano la protezione dell’ambiente e dei consumatori, il grande business ha quello che vuole. Le grandi aziende ottengono garanzie sulla possibilità di partecipare ai processi decisionali, fin dalle prime fasi.
I documenti mostrano chiaramente che mentre la società civile ha avuto ben poco accesso ai negoziati, l’industria ha avuto invece una voce privilegiata su decisioni importanti.
Il rapporto pubblico reso noto di recente dall’UE ha solo un piccolo riferimento al contributo delle imprese, mentre i documenti citano ripetutamente il bisogno di ulteriori consultazioni con le aziende e menzionano in modo esplicito come siano stati raccolti i pareri delle medesime.
I documenti pubblicati da Greenpeace Olanda constano di 248 pagine in un linguaggio legale tecnicamente complesso: 13 capitoli di “testo consolidato” del TTIP più una nota interna dell’UE sullo stato del negoziato (Tactical State of Play of TTIP Negotiations – March 2016). Greenpeace Olanda ha lavorato assieme al rinomato network di ricerca tedesco di NDR, WDR and Süddeutscher Zeitung. Fino ad ora i rappresentanti eletti avevano potuto vedere parte di questi documenti in stanze di sicurezza, con guardie, senza consulenti esperti e senza poterne discutere con nessuno. Con questa pubblicazione, milioni di cittadini hanno la possibilità di verificare l’operato dei propri governi e discuterne con i loro rappresentanti.
Chi ha cura delle questioni ambientali, del benessere degli animali, dei diritti dei lavoratori o della privacy su internet dovrebbe essere preoccupato per quel che c’è in questi documenti. Il TTIP, si svela per ciò che davvero è: un grande trasferimento di poteri democratici dai cittadini al grande business.
Per fermare il TTIP, tutelare i diritti e i beni comuni e costruire un altro modello sociale ed economico, equo e democratico, ti aspettiamo sabato 7 maggio 2016 a Roma per un grande appuntamento nazionale!
ENTRA IN AZIONE CON NOI: FIRMA E CHIEDI DI BLOCCARE IL TTIP!
Da greenpeace.org
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bene. Quando si comincia a credere ai soliti "gomploddisti"?

mercoledì 4 maggio 2016

Armi, triplica vendita del made in Italy. E tra gli intermediari spunta Banca Etruria

di | 4 maggio 2016dal Fatto Quotidiano

Nell’ultimo anno è triplicata la vendita di armi italiane all’estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra: in particolare quelle verso l’Arabia Saudita, condannata dall’Onu per crimini di guerra nel conflitto in Yemen e per la quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti. Cresce anche l’intermediazione finanziaria delle principale banche italiane, Intesa e Unicredit, e tra i piccoli istituti coinvolti compare ancora Banca Etruria e una banca libica.
La relazione annuale del governo sull’export militare italiano 2015 – appena trasmesso al Parlamento e il cui contenuto è stato anticipato da Nigrizia – mostra un aumento del 200% per le autorizzazioni all’esportazione definitiva di armamenti il cui valore complessivo è salito a 7,9 miliardi dai 2,6 miliardi del 2014. Un dato senza precedenti che, come osserva il governo nel documento con soddisfatto understatement, testimonia la “consolidata ripresa del settore della Difesa a livello internazionale”.
Come si legge nella relazione, “i settori più rappresentativi dell’attività d’esportazione sono stati l’aeronautica, l’elicotteristica, l’elettronica per la difesa (avionica, radar, comunicazioni, apparati di guerra elettronica), la cantieristica navale ed i sistemi d’arma (missili, artiglierie), che hanno visto, nell’ordine: Alenia Aermacchi, Agusta Westland, GE AVIO, Selex ES, Elettronica, Oto Melara, Intermarine, Piaggio Aero Industries, MBDA Italia e Industrie Bitossi ai primi dieci posti per valore contrattuale delle operazioni autorizzate. La maggior parte di queste aziende sono di proprietà o in varia misura partecipate dal Gruppo Finmeccanica”.
Ma il dato politicamente più importante è il boom di vendite verso Paesi in guerra, in violazione, attraverso escamotage, della legge 185/1990 che vieta l’esportazione e il transito di armamenti verso Paesi in stato di conflitto e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Un sotterfugio che un ex ministro della Difesa di nome Sergio Mattarella denunciò anni fa come “un grave svuotamento delle disposizioni contenute nella legge 185”: il governo può aggirare il divieto di forniture militari a un paese in guerra se con esso ha stipulato un accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d’arma. Il caso più grave riguarda le forniture belliche alle forze aeree del regime Saudita, che da oltre un anno conducono bombardamenti indiscriminati su città, scuole e ospedali in Yemen che finora hanno provocato almeno 2mila morti civili, per un quarto bambini. Crimini di guerra ripetutamente condannati dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che a febbraio hanno spinto il Parlamento europeo ha chiedere un embargo sulla vendita di armi a Riyad.
Il valore dell’export di armi ‘made in Italy’ verso l’Arabia Saudita autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni dai 163 milioni del 2014. Un aumento del 58% attribuibile in gran parte alle tonnellate di bombe aeree prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas della Rwm Italia S.p.a. e spedite via aerea e navale da Cagliari tra le proteste e le denunce – anche alla magistratura – di parlamentari e pacifisti. Consegne confermate dalla relazione: 600 bombe Paveway da 500 libbre (per 8,1 milioni di euro), 564 bombe Mk82 da 500 e 2000 libre (3,6 milioni), 50 bombe Blu109 da 2000 libre (3,6 milioni) e cento chili di esplosivo da carica Pbxn-109 (50mila euro).
A questo si aggiunge il forte incremento del valore delle esportazioni italiane verso l’Arabia Saudita che rientrano tra i programmi intergovernativi di cooperazione militare, saliti nel 2015 a 212 milioni dai 172 milioni del 2014. Il principale programma riguarda i cacciabombardieri Eurofighter usati ogni giorno dalla Royal Saudi Air Force nei suoi raid in Yemen. La fornitura, iniziata anni fa, riguarda l’Italia non solo per la sua partnership industriale nel consorzio europeo (con Finmeccanica), ma anche perché questi aerei, assemblati negli stabilimenti inglesi della Bae System, vengono consegnati facendo scalo all’aeroporto bolognese di Caselle. Nonostante la legge 185/90 vieti anche il transito di armi destinate a Paesi in guerra.
Anche le forniture belliche italiane verso gli altri paesi che partecipano alla guerra in Yemen a fianco dei sauditi sono proseguite o aumentate: gli Emirati si confermano il principale cliente mediorientale (con 304 milioni come l’anno prima), mentre c’è stato un forte incremento di vendite al Bahrein (da 24 a 54 milioni) e soprattutto al Qatar (da 1,6 a 35 milioni). Il Kuwait, nel 2015 ancora tra i clienti minori, è destinato a scalare la classifica dopo la firma, poche settimane fa, di un contratto multimiliardario per la fornitura di 28 cacciabombardieri prodotti da Finmeccanica.
Ma è boom di export verso tutti i Paesi in guerra, a cominciare da un clamorosa new-entry: l’Iraq, finora mai comparso tra i clienti italiani, esordisce nel 2015 con vendite per 14 milioni (armi leggere e munizioni, quindi Beretta). Impennata di vendite verso la Turchia (da 53 a 129 milioni) che bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica; verso la Russia (da 4 a 25 milioni) che continua a ricevere blindati Lince della Fiat-Iveco nonostante l’embargo post-Ucraina, verso il Pakistan (da 16 a 120 milioni) in perenne conflitto con talebani, indipendentisti baluci e con l’India (anch’essa con forniture belliche italiane in aumento da 57 a 85 nonostante la crisi dei marò e la guerra contro la ribellione contadina naxalita). Nota a margine: nel 2015 sono incrementate le vendite all’Egitto pre-caso Regeni (da 32 a 37 milioni), comprese le armi leggere e i lacrimogeni usati dalla polizia del Cairo nelle repressioni di piazza.
Ultimo dato importante che emerge dalla relazione è l’aumento del ruolo d’intermediazione finanziaria delle banche italiane nel business delle forniture belliche. Se la parte del leone rimane alle banche straniere (Deutsche Bank e Crédit Agricole sopra tutte) si fanno strada sia Unicredit (passata dal 9 al 12% delle operazioni) che Intesa Sanpaolo (dal 2 al 7,4%) che Unicredit (dal 9 al 12%). Seguono con percentuali minori Bnl, Ubi (Banco di Brescia, Popolare Commercio e Industria, Regionale Europea) e una sfilza di “popolari” in ordine discendente (Emilia Romagna, Carispezia, Banco Popolare, Valsabbina, Sondrio, Carige, Etruria, Parma e Piacenza, Credito Cooperativo Cernusco S.N. e Versilia e Lunigiana, Spoleto, Friuladria, Bpm) e perfino Poste Italiane.
Nonostante pochi milioni di euro di operazioni, comunque in aumento rispetto all’anno precedente, merita una menzione particolare Banca Ubae: istituto controllato dalla Libyan Foreign Bank (banca offshore specializzata in esportazioni di petrolio dalla Libia) e nel cui azionariato figurano Unicredit, Intesa Sanpaolo, Montepaschi ed Eni.

(Foto – Aeroporto di Cagliari 29 ottobre 2015, carico di bombe prodotte dalla Rwm Italia S.p.a. destinate all’Arabia Saudita – di Massimo Manca)
di | 4 maggio 2016


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a leggere bene e a riflettere un SOLO centimetro al di là della singola notizia, ossia i collegamenti alla vicenda, pur citati in articolo, le somme tornano tutte... ehm la Costituzione, quella che vogliono "riformare" cosa dice in proposito? Mi rinfrescate la memoria per piacere?

martedì 3 maggio 2016

lunedì 2 maggio 2016

‘Lui è tornato’, e se Hitler riapparisse oggi?

di | 2 maggio 2016 dal Fatto Quotidiano

E se una mattina qualunque del 2014 a Berlino, Lui tornasse? Se mentre i bimbi giocano indisturbati in un giardino pubblico, nei pressi di quello che un tempo fu il bunker nel quale si tolse la vita insieme alla neo moglie Eva Braun, Lui riapparisse avvolto da una nuvola di fumo, in alta uniforme? A questi curiosi interrogativi prova a dare una risposta il giornalista Timur Vernes nel suo best-seller Lui è tornato, nel quale immagina, con sagace ironia e grande lucidità di pensiero, il ritorno di Hitler nella Berlino dei giorni nostri. Un successo editoriale sorprendente, con oltre 2 milioni di copie vendute solo in Germania, tradotto in 41 Paesi. Dal libro è stato tratto l’omonimo film, per la regia di David Wnendt che, neanche a dirlo, in Germania ha sbancato il botteghino, ma che purtroppo in Italia ha avuto solo tre giorni di programmazione, 26, 27 e 28 aprile; sarà tutta via disponibile su Netflix. Io sono riuscita a vederlo in extremis giusto l’ultima sera e ne sono felice, perché il film è davvero straordinario.
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Siamo nel 2014, Adolf Hitler viene catapultato nel futuro e si risveglia a Berlino nello stesso punto in cui il 30 aprile del 1945 si tolse la vita. Come fosse letteralmente risorto dalle ceneri, vaga per la città con la sua uniforme logora e strappata, una città decisamente diversa da quella che ha lasciato. Confuso e disorientato cerca di scoprire in quale epoca storica si trovi e quale sia l’attuale situazione politico-sociale: non appena scopre in che modo è cambiata la sua Germania, rimane sgomento e si rende conto di essere mancato per troppo tempo. Ben presto capisce che nulla di ciò che negli anni ha faticosamente costruito, esiste più: la Germania moderna è multietnica e globalizzata, guidata da una donna (la Merkel) che egli stesso definisce “una donna tozza che infonde lo stesso ottimismo di un salice piangente”; manca una guida dunque, un punto di riferimento per un paese destrutturato e impaurito dallo straniero.
E qui il film raggiunge il suo scopo: siamo davvero sicuri che i tempi siano così cambiati rispetto al 1933, quando il neo cancelliere Hitler salì al potere della Germania nazista? Più ci si addentra nella storia, più matura questa agghiacciante considerazione; tra l’altro il film è un interessante mix tra linguaggio cinematografico e documentaristico: con l’aiuto di uno sprovveduto cameraman Hitler fa il giro della Germania per sondare i pareri della gente, molte delle interviste sono reali e raccolgono le reazioni spontanee della gente alla vista del redivivo Hitler: i risultati sono a tratti sconcertanti. Alcuni degli intervistati affermano che “se fosse il vero Hitler, la seguirei”, inoltre molti dei discorsi di Hitler sull’immigrazione e sulla necessità di ricostituire dei lager, trovano in alcuni casi consensi e acclamazione.
Nel film si crea ad un certo punto una pericolosa commistione tra cinema e realtà che appassiona e spaventa allo stesso tempo. Il tono è tendenzialmente quello della commedia, ma, alla pungente ironia delle battute, si aggiunge l’inquietante consapevolezza di alcune affermazioni di Hitler: “Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti come me…abbiamo gli stessi valori…”. Non appena scopre il potere che i nuovi media e internet hanno sulla gente, come se la storia si ripetesse tragicamente, li sfrutta in maniera arguta per raccogliere consensi e per cercare di carpire informazioni utili al suo scopo: si, ma qual è lo scopo del risorto Hitler? Lo stesso di sempre: riempire il vuoto ideologico di una società moderna alla deriva e affondare gli artigli nella sua debole carne.
Attraverso il suo carisma e la grande capacità comunicativa che trascende le epoche storiche, si impone come personaggio di punta in televisione – che definisce “uno straordinario strumento di propaganda” – si presta ad interviste, ospitate, selfie e simpatici siparietti, diventa una star del web. Per tutti questo Hitler non è altro che un buffone, un matto che si traveste da führer, ma che gli somiglia in maniera sorprendente (grazie al lavoro straordinario dell’attore Oliver Masucci); questo genera una sorta di macabra ammirazione per la figura storica, una morbosa curiosità tipica del nostro tempo di reality show e di fanatismo malato. Tutti sembrano ubriacarsi di questa novità, fino a perdere piano piano coscienza della realtà. Tutti tranne una vecchia signora ebrea affetta da demenza senile che, vedendosi piombare Hitler in casa, non lo scambia per un attore come tutti gli altri, ma lo riconosce e comincia ad urlare in preda al panico “Sei tale e quale ad allora e dici le stesse cose di allora. Anche all’epoca, all’inizio, ridevano di te. Io so bene chi sei, non l’ho dimenticato!”.
Dopo queste parole, il silenzio in sala si è fatto gelido, insopportabile. Il viaggio nel futuro di Hitler, ha riportato noi in un passato buio e angosciante e mentre le immagini scorrevano sullo schermo, mi sentivo pervasa da una sensazione di ansia e di paura. Il film (e prima ancora il libro) offre uno spunto di riflessione prezioso sul valore della memoria storica, sulla reale capacità degli esseri umani di imparare dai propri errori e un quadro tristemente chiaro dell’attuale situazione politica, sociale e culturale dell’Europa e del mondo. Verso il finale, quando l’intorpidimento delle coscienze sta dando i suoi frutti e tutti ormai lo considerano una star, il suo fidato cameraman, l’uomo che lo ha “scoperto”e portato alla ribalta, capisce di avere a che fare col vero Adolf Hitler, terrorizzato e sconvolto tenta di ucciderlo. Ma Hitler non muore e l’inquietante messaggio finale è affidato alle sue parole: “Non puoi uccidermi, perché una parte di me è in tutti voi”. Lui è tornato o forse non è mai andato via?
di | 2 maggio 2016

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.. a proposito del ricordare.

e se non bastasse nelle scuole, o almeno in alcune di esse in Baviera, si sta studiando l'ipotesi, con la benedizione di tutti (Verdi compresi), di far leggere il Mein Kampf dell'austriaco che indusse i tedeschi a credere di essere una razza superiore e che potevano far tutti: forni crematori compresi!!!! D'altronde sono stati proprio gli alleati (..) a non condannare l'intera struttura di potere nazista, anzi i quadri e livelli intermedi del nazismo sono rimasti tutti al loro posto contribuendo a far diventare la Germania una potenza economica di livello planetario e per tacere degli scienziati nazisti che russi e emaericani hanno "adottato" per sfruttare tutte le loro scoperte .. dalla medicina (le torure e gli esprimenti nei campi di concentramento hanno fatto scuola nel trattamento di alcune patologie mediche) allo spazio; dalla comunicazione e dal controllo delle masse (anche in questo campo le tecniche naziste hanno fatto scuola... basta pensare alle tecniche di comunicazione commericale e politica) all'ideologismo del mercato in salsa tedesca dove la Germania, come l'inghilterra, sta introducendo leggi che discrimanano i lavoratori non solo extracomunitari ma pure comunitari... altro che ostalgia, vero?

domenica 1 maggio 2016

Che cos’è, semplicemente, il neoliberismo

29/04/2016 di triskel182
Neoliberismo
Ieri un’amica economista, per divertirsi, ha calcolato che, per guadagnare quello che Marchionne prende in un anno, un voucherista italiano dovrebbe lavorare 2.500 anni tutti i 365 giorni dell’anno. Un rapporto 1 a 2.500, pertanto, ipotizzando generosamente che anche Marchionne non riposi nemmeno un giorno.
Diceva Adriano Olivetti che «nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo». Il capitalismo italiano è insomma passato in mezzo secolo dalla teorizzazione di un rapporto 1 a 10 alla pratica di un rapporto 1 a 2.500.
Quella che vedete qui sopra è una delle tabelle più note del libro con cui Thomas Piketty, nel 2013, ha preso d’assalto tre decenni di egemonia culturale, politica e fattuale della destra economica. Mostra la quota di reddito in percentuale del 10 per cento più ricco nell’ultimo secolo e illustra in modo immediato quello che è successo in Europa e negli Stati Uniti.
Ci sono diverse cose, in questo grafico.
Ad esempio c’è la rappresentazione plastica della parola “neoliberismo”, su cui alcuni ironizzano come se fosse un’invenzione dietrologica, una proiezione da complottisti, invece qui si palesa in tutta la sua chiarezza: è, semplicemente, quella cosa che ha iniziato a far schizzare in su le due linee, dopo che i vari new deal, patti sociali, socialdemocrazie o altre forme di mediazione tra alto e basso le avevano fatte gradualmente scendere, per mezzo secolo abbondante. Ad esempio a quelli del Foglio, che si baloccano con la rubrichetta “Tutta colpa del neoliberismo”, bisognerebbe ogni volta sbattergli in faccia questa tabella: magari, con un disegnino, capiscono.
Curiosamente – e questa è un’altra cosa che emerge dal grafico qui sopra – il mezzo secolo in cui diminuiva il distacco tra più ricchi e più poveri ha coinciso con il periodo di maggior avanzamento complessivo delle società.
Forse non è un caso: una buona parte della letteratura economica, negli ultimi tempi, sta avanzando seriamente l’ipotesi che oltre un certo livello le disuguaglianze producano danni per tutti. Lo ha fatto Robert Reich, in un libro già citato in questo blog. Lo fanno ora anche Maurizio Franzini e Mario Pianta nel loro ultimo saggio, “Diseguaglianze“, da poco uscito per Laterza.
La loro analisi su questo punto – basata soprattutto su dati Fmi e Ocse (quindi non proprio fonti di estrema sinistra) – è prettamente di carattere economico, cioè relativa agli effetti sulla crescita di un Paese. Qualche anno fa, Richard Wilkinson e Kate Pickett – in un libro che andrebbe fatto studiare in tutte le scuole – mostrarono dati alla mano come una forbice sociale eccessiva genera anche più violenza, più ignoranza e maggiore disagio psichico. È di questi ultimi mesi invece l’evidenza che, oltre a tutto questo, l’eccesso di disparità sociali si ripercuote in crescenti espressioni politiche di tipo nazionalista e neofascista, dagli Stati Uniti all’Europa.
A proposito di Europa: oggi nel Vecchio continente, scrivono Franzini e Pianta, «il 20 per cento delle persone ha un patrimonio pari a zero (o debiti che superano i risparmi), mentre il secondo quintile possiede una ricchezza media di 29.400 euro, il terzo di 111.900 euro, il quarto di 235 mila euro: fino al quinto degli europei, che ha ricchezze per 780.700 euro, possedendo così il 68 per cento della ricchezza totale.
Il tutto in un quadro di capitalismo sempre più oligarchico, cioè riservato a pochi, e sempre più dinastico, cioè con un ascensore sociale quasi fermo.
Quest’ultimo è un problema di cui in Italia si parla poco. Anche a sinistra, devo dire. Ed è un po’ uno scandalo: tra l’altro, dopo la riforma Berlusconi appena ritoccata da Monti, siamo e restiamo uno dei paesi al mondo con le tasse di successione di basse. E, come si vede dalla tabella sotto, siamo secondi tra i Paesi sviluppati nella pessima classifica di trasmissione generazionale delle disuguaglianze (grafico tratto dal libro di Franzini e Pianta).
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Insomma “la famiglia conta”, come nel titolo di uno dei capitoli del saggio in questione. Conta per eredità, ma anche per istruzione (tasse universitarie comprese) e rete di relazioni. E questa realtà, oltre a essere un fattore chiave del capitalismo oligarchico, fa un po’ di chiarezza sulle tante balle che si sentono in giro relative alle “uguali opportunità” come forma che rende accettabili, se non giuste, le disuguaglianze.
Le posizioni di rendita invece sono il primo tratto caratterizzante dell’economia contemporanea e del capitalismo oligarchico.
Accanto al quale, s’intende, ci sono anche altri motori di diseguaglianza, spiegano Franzini e Pianta: ad esempio, la maggiore rilevanza nella produzione di redditi assunta dal capitale rispetto al lavoro, soprattutto per via finanziaria e per trasformazioni tecnologiche (tema su cui in questo blog ho rotto le scatole spesso); ma anche, terzo punto, l’individualizzazione delle condizioni economiche, cioè la fine delle classi organizzate, delle loro categorie, dei loro sindacati: con la riduzione del lavoratore a monade solitaria e disperata che ogni giorno mette insieme pezzettini di reddito molecolare.
Il quarto motore delle troppe disuguaglianze contemporanee individuato da Franzini e Pianta è l’arretramento della politica: che interviene sempre meno con politiche redistributive (e quanto ha contato, in questo, la sbornia trentennale contro i “lacci e laccioli”!) e taglia sempre di più i servizi universali o destinati ai ceti più poveri (salute, istruzione, etc), sempre con l’altro mantra liberista del “bisogna ridurre la spesa pubblica”.
Naturalmente poi, come sempre, anche quella della disuguaglianza e dell’uguaglianza è questione di misura, di punto in cui fissa l’asticella.
In genere, chi parla di diseguaglianze viene accusato di essere utopista, perché nessuna società realizza mai un’uguaglianza assoluta: il che è evidente, ma diventa quasi sempre un alibi per non fare alcun passo verso una riduzione della forbice sociale, anzi per andare nella direzione opposta.
Che è quella delle diseguaglianze crescenti. Delle società più arrabbiate, infelici, conflittuali, atomizzate, instabili. Dei Paesi in cui per rabbia confusa dilagano quindi i neofascismi, i nazionalismi, i razzismi, i Trump e Le Pen.
Del neoliberismo, insomma.
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
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sempre a proposito di "ricordare" .... nel giorno della Festa del Lavoro; e per sapere quale mostro abbiamo davanti!!!

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