sabato 14 novembre 2015

... e siamo a due, piccoli mostri crescono....

Terrore e guerra a Parigi. Il fronte europeo si è aperto?
Ancora una volta è Parigi ha pagare lo scotto di una guerra asimmetrica: e stavolta il colpo è ancora più duro; oltre 150 morti e chissà se i terroristi sono stati davvero neutralizzati. In realtà il problema è si di terrorismo ma è soprattutto interno visto che è il paese con il maggior numero di foreign fighter islamici per l'isis e ciò ha un costo in termini di vite e di maggiori problemi di ordine pubblico. Temo anche che non sarà l'ultima sia per il motivo su esposto sia perchè questo, come altri paesi, è in prima linea in Siria contro gli islamici, certo, ma pure contro il regime Assad.. il problema è che secondo alcuni i paesi occidentali siano "moderati" nel combattere i terroristi e preferiscano finanziare e supportare i "combattenti per la libertà siriani" proprio contro il regime: una situazione schizofrenica..... di cui gli americani sono i primi a subirne le conseguenze: finanziavano quelli che oggi sono considerati terroristi contro i siriani di Assad e ora se li ritrovano contro e sono costretti quantomeno a parlare proprio con quel regime che avrebbero voluto abbattere, o meglio avrebbero voluto che i "loro" combattenti fossero a farlo per conto loro:come sempre accade in questi casi qualcosa è andato per il verso storto alcuni dei burattini si son visti tagliare i fili e hanno il via alle giostre; non volendo pensare, mi sembrerebbe davvero mostruoso se fosse vero, che siano operazioni 'false flag' questa è l'unica via che posso pensare.. i piccoli mostriciattoli, o alcuni di essi, si sono liberati dei fili che li tenevano e si sono scatenati con gli esiti che tutti vediamo sotto gli occhi..... perchè ci hanno colpito in casa ma quello che combinano nelle loro aree d'interesse non ne veniamo a conoscenza o non ce lo dicono ma ne subiamo anche in questo caso gli esiti con le bibliche migrazioni, indotte dai terroristi, dei civili proprio da quelle zone...... il tutto con la complicità tirca che da un lato dice di fermare i civili alla frontiera (non è sempre vero visto che li usa come mezzo di pressione sull'europa per ottenere appoggi e improvvise cecità) e dall'altro "usa" i terroristi in funzione anti-curda. In questo complicatissimo puzzle un ruolo a parte lo stanno giocando i russi e gli iraniani, ma questa è un altra storia di cui qui in occidente non ne sappiamo molto se non che entrambi hanno interesse a distruggere tutti i terroristi e rafforzare il regime amico  con la forte opposizione occidentale che vedrebebro andare in fumo i loro piani: e si sa quanto siamo aggrappati ai "nostri" piani... stranamente coincidenti con quelli della lobby del petrolio.

mercoledì 11 novembre 2015

ECCO CHI HA DECISO LA FAME NEL MONDO: CONTROLLA IL NOSTRO CIBO E CI TRATTA COME POLLI D’ALLEVAMENTO

QUESTO POST L'HO TROVATO SU TERRA REAL TIME
Articolo estratto dal libro “Liberi dal Sistema – La Guida per Cambiare il Mondo Partendo da Sè” di Enrico Caldari.

Che ci crediate o meno, il cibo è uno degli strumenti di controllo più potenti del Sistema, a livello economico e politico. C’è quindi qualcuno che ha interesse a decidere «se», «come» e «quanto» cibo farci arrivare.
È attraverso la scarsità di una risorsa che è possibile controllare chi quella risorsa fa fatica a procurarsela. E così il nostro sistema si basa sulla scarsità. Scarsità di denaro, scarsità di cibo. Il controllo della società attraverso la scarsità è un modello socio-economico-politico teorizzato da Henry Kissinger, ex consigliere del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti (carica che ha ricoperto dal 1969 al 1977) e premio Nobel per la Pace nel 1973 (e bisognerebbe aprire una parentesi sui legami tra le commissioni per i premi Nobel e il Sistema stesso, dato che oltre a Kissinger, anche Obama pare ne abbia vinto uno sempre per la pace…).
Una delle frasi più celebri di Kissinger è: «Control oil, and you control nations». Controlla il petrolio e controllerai le nazioni. Vi dice nulla questa frase, alla luce della politica estera adottata dagli Stati Uniti? Ma c’è una frase meno celebre, ma ancora più scioccante dello stesso Kissinger, che dice: «Control food, and you control the people». Controlla il cibo, e controllerai le persone. E come si può controllare il cibo? La risposta è duplice: controllando la terra e controllando i semi. Vediamo come.
Land Grabbing è il titolo di un libro scritto dal giornalista d’inchiesta Stefano Liberti che espone uno dei fenomeni più recenti della nostra economia: l’accaparramento di terre. Cosa significa accaparrarsi le terre? Vuol dire impossessarsi fisicamente di un’estensione più o meno grande di terreno, al fine di sfruttarlo per la coltivazione. Questo mercato ha cominciato a svilupparsi e crescere in modo impressionante negli ultimi anni, proprio quando il mercato finanziario stava subendo un momento di crisi e aveva bisogno di nuovi business. Il «landgrabbing» sta coinvolgendo molti investitori privati (le banche in primis!) ma anche istituzionali, tra cui addirittura alcuni Stati che hanno insufficienti terre coltivabili all’interno dei propri confini nazionali per garantire approvvigionamento alimentare a tutta la propria popolazione.
Quali terre sono soggette all’accaparramento? Di certo non quelle europee né quelle degli altri paesi già industrializzati. Le terre oggetto di questo fenomeno sono quelle dei paesi del Terzo Mondo, come quelli africani. Lì è pieno di campi da coltivare, magari attualmente occupati da qualche tribù di contadini che non hanno nemmeno un atto di proprietà per rivendicarne il possesso o il diritto a occuparli. E allora per il rappresentante istituzionale di uno stato occidentale che si presenta in giacca e cravatta diventa facile stringere un accordo commerciale con i politici dello stato africano in questione: con cifre irrisorie e in poco tempo ci si accaparra letteralmente l’esclusiva di sfruttamento di un terreno per la durata di decenni.
Volete qualche esempio? Guardiamo il caso della Daewoo. La Daewoo è una multinazionale coreana impegnata in attività di diverso genere, tra le quali, ad esempio, la produzione di automobili e di navi e la realizzazione di prodotti elettronici e di precisione per l’industria. Nel 2008 l’azienda coreana firmò un accordo con il governo del Madagascar secondo il quale la stessa Daewoo avrebbe acquisito l’esclusiva di sfruttamento di 1,3 milioni di ettari di terra presenti nell’isola africana per i successivi 99 anni. Considerando che in Madagascar il totale delle terre coltivabili ammonta a 2,5 milioni di ettari, significa che la Daewoo si era aggiudicata la gestione di più della metà della terra coltivabile sull’isola!
E come avrebbe dovuto utilizzare quelle terre, la Daewoo? Secondo l’accordo siglato dalle due parti, quelle terre sarebbero dovute diventare monocolture intensive di cibo e di biocarburante. «A quale prezzo?», vi chiederete voi ora.
A meno di 3 dollari all’ettaro all’anno. Per un periodo di 99 anni! E con quali garanzie? Solo una: quella di costruirvi anche delle infrastrutture che contribuissero al progresso tecnologico dell’isola: costruzione di porti, autostrade, impianti di irrigazione, linee elettriche, scuole, ospedali (oltre a quella di fornire chissà quali vantaggi o favori ai politici locali…). C’è poi un secondo modo per controllare la produzione di cibo. Infatti, se io non posso acquistare la terra di un contadino, come posso fare per controllarlo ugualmente?Controllo quello che lui coltiva!
Ogni anno il contadino deve piantare le sementi da cui far crescere cereali, verdure e ortaggi. Nell’immaginario comune, quando le sue piante avranno dato i propri frutti, l’agricoltore conserverà alcuni dei semi per poterli ripiantare l’anno successivo. Ma come funziona oggi il mercato dei semi? Rispecchia ancora questo schema naturale vecchio di millenni? Non più. Oggi le aziende produttrici di sementi hanno creato piante in grado di fruttificare una sola volta. Tali piantine daranno sì frutti o verdure buone, ma i cui semi non sono fertili, perciò inutilizzabili ai fini di una nuova semina. L’anno successivo, perciò, il contadino che aveva acquistato quella determinata pianta sarà costretto a ritornare a comprare altre piantine.
E se al posto della piantina il contadino comprasse semi, la situazione sarebbe sempre di dipendenza. Quei semi produrranno per un solo anno, e poi saranno sterili. Oggi il mercato dei semi a livello mondiale è dominato da tre società, che insieme detengono il 53% del totale del mercato: Monsanto (che da sola detiene circa il 27% del mercato), Dupont e Syngenta (quest’ultima è uno spin-off di Novartis, la multinazionale svizzera produttrice di farmaci…). Ma da dove nasce tutto questo? Come hanno fatto queste aziende ad affermarsi e a imporre il loro mercato di semi brevettati e sterili? Nel 1994, durante un incontro del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, su pressione degli Stati Uniti venne fatta approvare una norma per la quale si sarebbero potuti brevettare anche gli organismi viventi. Cosa significa? Significa che, da quella data in poi, le aziende avrebbero potuto creare semi ibridi o geneticamente modificati e poi brevettarli: i loro semi, coperti da brevetto, non si sarebbero più potuti piantare senza l’autorizzazione della stessa azienda proprietaria del seme.
Da quel momento, quindi, i contadini sono stati costretti a comprare annualmente i semi da piantare. Ma c’è di più. Per ogni seme brevettato, le aziende vendono in abbinamento i propri fertilizzanti o pesticidi, senza l’uso dei quali i loro semi difficilmente potranno essere produttivi. Per intenderci, un agricoltore che decide di piantare un seme Monsanto non può usare un fertilizzante Dupont: rischia di uccidere il seme. Dovrà usare il fertilizzante Monsanto, e per farlo deve firmare un contratto assai vincolante, che lo sottopone a diversi controlli e lo obbliga a ricomprare i semi di anno in anno.
L’idea di abbinare i fertilizzanti e i pesticidi ai semi brevettati trae origine dall’azienda Monsanto. Prima degli anni 1970 la multinazionale statunitense faceva tutt’altro che sementi: produceva prodotti chimici, tra cui il famoso Agente Arancio che, durante la guerra in Vietnam, serviva a distruggere tutta la vegetazione dietro la quale i vietcong si mimetizzavano per infliggere dolorose imboscate all’esercito statunitense. Quando poi la guerra in Vietnam giunse al termine, con la delusione di tutto il popolo statunitense per le grandi energie impiegate e le perdite subite, la Monsanto capì che il mercato bellico si era di molto ridimensionato e dovette cercarsi un altro settore per creare un nuovo business. Lo trovò nel mercato agricolo, dapprima con i fertilizzanti, e successivamente con le sementi ibride e geneticamente modificate.
Fonte: metodorqi.blogspot.it

______________________________________________

A PROPOSITO DI TEORIE DEL COMPLOTTO
 

martedì 10 novembre 2015

L’Eurogruppo dice no alla Grecia

dal Fatto Quotidiano a firma di del 10 novembre 2015
Ci risiamo. La pièce tragica dell’estate scorsa sul destino della Grecia e dell’eurozona, si arricchisce di nuovi capitoli. Chi credeva che si fosse giunti alla sua conclusione dopo la farsesca accettazione del terzo bail-out l’estate scorsa, rimarrà deluso. Qualche economista assennato avevano invano provato a denunciare le condizioni palesi di insostenibilità di quel piano, e di come la sua implementazione avrebbe portato rapidamente il rapporto tra debito e Pil al di sopra del 200%. Ma questo forse sarebbe il male minore dal punto di vista macroeconomico, dal momento che un’austerità che prevede la privatizzazione degli aeroporti (incidentalmente comprati da compagnie tedesche),una riforma delle pensioni che sposta ancora più in là l’asticella dell’età pensionabile e un obbiettivo di bilancio fiscale fissato al 3.5% di avanzo primario, porterebbe con ogni probabilità il seme della rivolta nelle strade di Atene. L’esecuzione del terzo bail-out da parte della Grecia è semplicemente impraticabile, e la conferma è arrivata proprio ieri quando l’Eurogruppo ha rifiutato di versare nelle casse greche 2 degli 86 miliardi di euro, che costituirebbero il terzo pacchetto di prestiti. Come ha annunciato lo stesso Dijsselbloem, il perito agrario che presiede l’Eurogruppo, la Grecia non ha attuato un soddisfacente piano di riforme strutturali e “i 2 miliardi saranno pagati solo una volta che le istituzioni daranno il via libera quando tutte le azioni che sono state concordate, saranno realizzate, ma tutto questo non si è ancora verificato”.
Quali sono i termini dell’accordo che separano le due parti? Il nodo più difficile da scogliere riguarda la questione dei non-performing loans, quei prestiti difficili da recuperare e divenuti merce avariata per le banche greche che li hanno concessi, e che costituiscono un serio intralcio alla concessione di ulteriori aiuti da parte delle istituzioni europee. Le più importanti banche greche come National Bank of Greece, Piraeus Bank, Alpha Bank e Eurobank detengono 107 miliardi di euro di Npl, e l’esposizione totale dei crediti deteriorati greci rappresenta il 34% dei crediti complessivi. Una percentuale altissima, con la complicazione che questi crediti sono in buona parte dei mutui concessi per l’acquisto delle case di proprietà di molti greci. Il governo greco ha proposto una rateizzazione in 100 tranche di questi crediti per impedire che i debitori perdano la proprietà delle loro case, senza rinunciare alla deroga di 26 giorni per onorare gli eventuali pagamenti mancati. Un termine giudicato troppo generoso dall’Eurogruppo, che lo vorrebbe ridotto a un solo giorno di ritardo, senza la concessione di ulteriori deroghe. La soluzione proposta dai creditori internazionali, metterebbe nelle condizioni di restituire i prestiti solamente il 20% dei mutuatari, mentre il governo greco vorrebbe ammorbidire le condizioni dell’Eurogruppo per tutelare almeno il 50% dei proprietari. Se le banche greche vorranno la ricapitalizzazione delle loro perdite, dovranno necessariamente concedere qualcosa in questo senso.
A voler essere pedanti, la colpa di tale situazione non è tanto dei creditori internazionali, che in fondo altro non fanno che osservare i propri interessi a qualunque costo, come hanno dimostrato ampiamente in passato con il governo Samaras. L’accordo firmato ad agosto prevedeva espressamente l’impegno del governo greco “per aggiornare le proprie procedure di bancarotta, tra le quali quelle per fare fronte ai non performing loans arretrati” fino a prevedere esplicitamente l’adozione di una normativa per permettere di affrontare le eventuali situazioni di insolvenza. La responsabilità di questa situazione è del premier Tsipras, che ha accettato di firmare un accordo irricevibile, tanto da sovvertire completamente l’esito del referendum da lui stesso indetto.
In buona sostanza, nulla è cambiato dalle burrascose condizioni dell’estate passata, quando si era giunti ad un passo dalla rottura definitiva delle trattative e alla conseguente uscita della Grecia dall’Eurozona. La Grecia non è in grado di rispettare quel programma, né può permanere in queste condizioni dentro l’eurozona, senza che le venga concesso un robusto hair-cut sul suo debito e una dilazione alle condizioni degli obbiettivi strutturali di bilancio, che persistono in impossibili avanzi fiscali e sopprimono qualsiasi possibilità di crescita del PIL greco. La posizione più lineare era stata assunta proprio dal falco Schauble, quel Ministro delle Finanze accostato dai suoi detrattori ad un novello dottor Stranamore infatuato della potenza dell’austerity, ma che dal suo punto di vista aveva mantenuto una coerenza di pensiero. Se la Grecia non è in grado di sostenere l’austerity, che esca e cammini con le sue gambe. Su questo si smarca sempre più nettamente la Francia, che inizia a mostrare segni sempre più tangibili di insofferenza nei confronti dello strapotere tedesco, dopo che il ministro delle Finanze francese Sapin ha fatto sapere che la Grecia “ha già fatto considerevoli sforzi”, e spingendo in tal senso per l’accoglimento delle richieste greche.
Ora arriva l’ultimo grottesco tentativo del governo greco di acquisire un qualche peso negoziale in Europa, giocandosi la carta dei migranti. La Grecia sarebbe disposta ad aprire un passaggio per i migranti ad Evros, nel nord-est del paese, pur di ottenere in cambio un po’ di ossigeno dai suoi creditori e consentirle di tirare a campare per qualche altra settimana. Se queste sono le strategie del nuovo governo Tsipras, non c’è da stare troppo allegri e non stupirebbe assistere nuovamente ad una piega drammatica di questa vicenda, ma il buon senso sembra essere passato di moda da un bel pezzo.
______________________________________________________
nulla da aggiungere

lunedì 9 novembre 2015

altro che ecologia.. siamo oltre

Bene l'OMM (io ho appreso la notizia dall'app della protezione civile; ma ci sono anche quotidiani che hanno pubblicato questa notizia.. pochi ma l'hanno fatto) ha finalmente pubblicato i dati per 2014 del clima e dell'inquinamento da CO2 e simili e non è una buona notizia..... perchè il pericolo è aumentato e non di poco. Insomma ci dimostriamo incapaci di fermarci nella corsa alla crescita ed allo sfruttamento delle risorse, tutte le risorse: anche quelle che dichiariamo di voler abbandonare come le risorse fossili.
I dati? Eccoli: dal 1990 al 2014 il Metano, l'anidride carbonica e il protossido d'azoto sono aumentati del 36% “Ogni anno segnaliamo un nuovo record. Ogni anno diciamo che il tempo a disposizione sta per scadere” ha commentato il Segretario generale dell’Omm Michel Jarraud, sottolineando la necessità di “agire ora per tagliare le emissioni di gas serra, se vogliamo avere la possibilità di mantenere l’aumento della temperatura a livelli gestibili”; tutto chiaro?
Quindi, in soldoni, abbiamo superato la soglia critica oltre la quale i fenomeni estremi non sono SOLO una probabilità ma sono una certezza, com'è certo che il sole sorge domani.... ciò significa che non basterà più SOLO affermare di "voler" fare qualcosa ma siamo al punto che O SI FA QUALCOSA o ci esponiamo alla peggiore situazione che quelle che sono ancora definiti "cassandre" da anni disegnano: una natura ostile che, in base al meccanismo climatico di riequilibrio, fa di tutto per eliminare i fattori di di squilibrio... noi. E, come se non bastasse, la possibile evoluzione finale ce l'abbiamo già ora sotto gli occhi a poca distanza  dal nostro pianeta: Venere. Alle estreme conseguenze Venere potrebbe essere l'esito finale del processo.
Riepeto a detta dell'OMM (organizzazione meteorologica mondiale) siamo ooltre la soglia di guardia e la quatità dei gas serra che produciamo sta continuando a crescere senza alcuna soluzione di continuità il che significa che immettiamo più di quanto la natura possa riciclare e quindi rimane nell'atmosfera e a nulla serve le "irrorazioni (meglio note come SCIE CHIMICHE)" di materiali per farli evaporare o cadere, ricombinandoli chimicamente, sul pianeta: si fanno solo ulteriori danni e non solo all'ambiente ma pure agli esseri umani che si trovano a dover essere soggetti passivi dell'azione di queste combinazioni chimiche. Im pratica la GEOINGEGNERIA, nella sua specializzazione "Climatica" sta dimostrando tutta la sua fallacia sia perchè non è completamente padrona della prima citata meccanica del clima nè è completamente padrona dei risultati delle proprie "proposte" e quindi c'è il pressante rischio che si getti via non solo l'acqua sporca ma pure il bambino. Insomma stiamo accelerando, per puro calcolo economico-politico, le condizioni per la nostra estinzione, tutto qui.
Ora, teorie del complotto a parte (a sto questo punto non le escludo a priori), l'eventualità che sia tutta una bufala per spillare soldi agli Stati e all'ONU pur se possibile non basta perchè a cercarli i dati son lì... ci fanno anche i documentari da ogni parte del pianeta per certificare tutto: dallo scioglimento precoce dei ghiacciai alle rilevazioni prese dalle carote dei ghiacci dei poli alle piogge acide alle deforestazioni che eliminano e asfissiano il pianeta a.. bé la lista è lunga.
Che fare? Dipendesse da me darei lo stop alla produzione ma non è così: i paesi inquinatori (Cina, Germania, USA, ecc.), spalleggiati dalle lobby industriali  e dai complessi militari-industriali, non sono d'accordo e sono quasi certo che fra poco che sta per arrivare un profluvio di esperti, dati, e quant'altro per confutare il tutto, potete pure scommetterci che sarà così: ivi compresi tematiche personali su chi ha fatto le ricerche nel tentativo di screditarli.

domenica 8 novembre 2015

Luciano Gallino: ‘Fine della democrazia? Iniziò con Thatcher. E continua con Renzi’

di | 24 settembre 2015 sul Fatto Quotidiano

“La vera società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie”, spiegava Margaret Thatcher nel lontano 1980. L’inizio della fine della democrazia che l’Europa sta vivendo nel 2015, l’annus horribilis in cui Banca centrale Europea e Fmi piegano il volere di cittadini e governo greco, è lì. All’origine dell’applicazione pratica delle politiche neoliberiste, sostiene il sociologo Luciano Gallino. Fosse stato per la Scuola di Chicago di Milton Friedman, i Chicago Boys, i pensatori che costruirono l’impero teorizzando che il mercato si regola da solo, e che meno stato nell’economia meglio è, si sarebbe già potuto iniziare nei primi anni Settanta. Giusto il tempo degli ultimi fuochi keynesiani dei “Trente Glorieuses” (1945-75), quelli della ripresa economica improntata sul risparmio e sul welfare, sulle istituzioni statali indipendenti e sovrane rispetto ai fondi monetari, alle banche mondiali, alla rapacissima finanza. Il big bang lo fa deflagrare quella signora dalla permanente un po’ blasé, assieme all’ex attore hollywoodiano Ronald Reagan, che cominciano ad asfaltare sindacati e sindacalizzati, a cancellare il sistema di welfare a protezione delle fasce più deboli. Le tornate elettorali cominciano a diventare un optional. Governi conservatori o progressisti, europei o statunitensi, agiscono tutti verso la stessa direzione: smantellare lo stato sociale e privatizzare i servizi pubblici. Tanto ci pensa il mercato.
“Il potere economico nella forma che conosciamo si chiama capitalismo e per un certo periodo nel dopoguerra al capitalismo sfrenato si è potuto opporre qualche ostacolo favorendo prima di tutto la crescita economica e sociale di lavoratori e ceti medi”, spiega Gallino, ordinario di sociologia all’Università di Torino dal ’71 al 2002, e autore di un volume sul tema intitolato “Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa” (Einaudi). Per lo stesso editore sta per pubblicare “Il Denaro, il debito, la doppia crisi”.  “Dopo il 1980 però comincia la controffensiva neoliberale che ha avuto la meglio su tutti i governi d’Europa compresi quelli socialisti e socialdemocratici che non erano differenti nella pratica da quelli neoliberali e conservatori – continua Gallino – E’ stata una rivincita delle classi dominanti che ha avuto un successo straordinario. L’unico governo da allora ad oggi non allineato è forse quello greco di Tsipras”.
Ma come si è innescata la stessa dinamica impositiva del credo neoliberista nelle istituzioni e nel governo dell’Unione Europea?
A partire dagli anni Ottanta, a partire dagli Stati Uniti ma con un grosso contributo delle nazioni europee, si è affermato il processo cosiddetto della “finanziarizzazione”, per cui interessi e paradigmi finanziari hanno avuto la meglio su qualsiasi altro aspetto socio-economico. Il percorso di liberalizzazioni avviato in Usa da Reagan è avvenuto anche in Gran Bretagna con la Thatcher, e in Francia ad opera nientemeno che di un socialista come Mitterand. Tutto ciò ha fatto sì che il sistema ‘ombra’ delle banche, non assoggettabile in pratica ad alcune forma di regolazione, oggi valga quanto il sistema bancario che lavora per così dire alla ‘luce del sole’. Sono stati compiuti eccessi non immaginabili in campo finanziario, che hanno fortemente danneggiato l’economia reale. Qualunque dirigente o imprenditore di fronte alla possibilità di fare il 15% di utile speculando a livello finanziario o il 5% producendo beni reali, ha cominciato a scegliere la prima opzione senza stare più a pensarci troppo.
Poi c’è stata la crisi del 2007-2008…
Una crisi causata soprattutto dalla “finanziarizzazione”, non disgiunta dalla stagnazione dell’economia reale. A cui si dovevano far seguire serie riforme a livello bancario e finanziario, anche solo tornando alle regole, tipo la legge Glass-Steagall del ‘33, che avevano assicurato 50 anni di stabilità. Però non si è fatto nulla. Le banche e il sistema finanziario sono tornate più grosse, prepotenti e invadenti di prima della crisi. L’euro e la superiorità della Germania riflettono i risultati della finanziarizzazione. Va detto che la politica tedesca è stata quella di comprimere i salari dei propri lavoratori, e di utilizzare fiumi di forniture a basso prezzo dai paesi industriali dell’Est per favorire le proprie esportazioni in modo incredibile. Nel 2014 l’eccedenza degli incassi tra import ed export è stata di 200 miliardi di euro. I crediti di qualcuno sono però i debiti di qualcun altro: spesso dei paesi impoveriti sotto il predominio della Germania, alla quale l’euro ha giovato moltissimo, impedendo agli altri paesi di svalutare la propria moneta per stare dietro alla competitività tedesca.
Il caso greco sarà quindi il primo di tanti altri che arriveranno?
Sì. Con la Grecia i tedeschi hanno detto: “Umiliarne uno per educarne diciotto”, se parliamo dell’eurozona. Ne seguiranno altri. La Germania procede con decisione, la sua industria e le sue banche sono pesantemente coinvolte nel meccanismo infernale che hanno messo in moto. Dopo la Grecia toccherà all’Italia, alla Spagna, e anche alla Francia.
Eppure il presidente Renzi ogni giorno vara una nuova riforma…
Le riforme di Renzi si collocano tra il dramma e la barzelletta. Rispetto alle dimensioni del problema, alla gravità della crisi, il Jobs Act è una stanca ricucitura di vecchi testi dell’Ocse pubblicati nel 1994 e smentiti dalla stessa Ocse: la flessibilità non aumenta l’occupazione. Abbiamo perso il 25% della produzione industriale, il 10-11% di Pil, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono penosamente modesti. I giochetti delle riforme sono l’apoteosi preoccupante del fatto che il governo non ha la più pallida idea dei problemi reali del paese; o forse ce l’hanno ma procedono per la loro strada di passiva adesione alle politiche di austerità.
C’è chi vede la capitolazione greca di fronte alla fermezza Bce e Fmi come l’atto più antidemocratico avvenuto in Europa negli ultimi vent’anni. Che ne pensa?
“Il ministro Schauble, il mastino della Germania e dell’euro, sta preparando altre strettoie dittatoriali per rafforzare il dominio tedesco sugli altri paesi dell’eurozona. A me pare che per un paese che vale demograficamente un ottavo della Germania, tener testa per cinque mesi agli ottusi e feroci burocrati di Bruxelles, della Bce e del Fmi sia un altissimo riconoscimento, un grande esempio di dignità politica. L’Italia è lontana anni luce dalla Grecia. Siamo un paese economicamente molto più pesante e di fronte ai memorandum europei avremmo potuto ottenere risultati maggiori; ma questi neoliberali che ci governano rappresentano le classi sociali alleate con la finanza che ci domina.
Renzi un neoliberale come Reagan e la Thatcher?
Sì. Anche Monti arrivò da Bruxelles, grazie all’intervento di Napolitano, per fare il gendarme delle più grandi insensatezze mai immaginate in campo economico: il pareggio obbligatorio di bilancio inserito addirittura in Costituzione, le riforme regressive del lavoro, i tagli forsennati alle pensioni. La Commissione Europea e la Bce ci mandano lettere che assomigliano ai feroci memorandum mandati alla Grecia. Ci manca soltanto che ci mandino lettere con su scritto come confezionare il pane, proprio come suggerito nell’accordo dell’Eurogruppo con Tsipras il 12 luglio.
Che c’è scritto in materia di produzione del pane?
Si tratta di una indicazione dell’Ocse richiamata espressamente nel testo dell’accordo. Da sempre i panettieri greci vendono due tipi di pane: da mezzo e da un chilo. Nella “cassetta degli attrezzi” dell’Ocse (così si chiama) ci sono alcuni paragrafi dedicati ai fornai a cui viene imposto, al fine di allargare la liberalizzazione di un paese e bla bla bla, di introdurre varie altre pezzature di diverso peso delle pagnotte. E poi il pane dovrà essere venduto in qualunque posto, anche nei saloni di bellezza, se lo vogliono. Capirete bene cosa rappresenta un’imposizione del genere: si sta dicendo ad un paese intero come fare il pane. Pensiamo ai 30mila dipendenti della Cee a Bruxelles e alle migliaia che lavorano per l’Ocse e per l’Eurogruppo con le loro macchinette mentre calcolano migliaia di coefficienti e trovano il tempo e ritengono opportuno intervenire sul pane. Si è raggiunto un livello di imbecillità inaudito, ed è soprattutto una forma di dittatura che avanza.
Ci può spiegare il concetto di “autoritarismo emergenziale” che ha coniato? 
Un governo che ha una vocazione autoritaria, ma è ancora soggetto al peso del voto, deve trovare buone ragioni per imporre le sue misure autoritarie. Per farlo ricorre allo “stato di eccezione”, un vecchio concetto politico che indica che una parte di uno stato che non ne avrebbe diritto si appropria di poteri non suoi. Lo stato di eccezione può essere costituito dalla guerra, da epidemie, da disastri naturali, dove s’impone che la Costituzione venga messa da parte. Ricordiamo la costituzione della repubblica di Weimar, la più liberale d’Europa. Conteneva un articolo sullo stato di eccezione che nel 1933 permise al capo di governo Adolf Hitler di appropriarsi del potere assoluto facendo fuori gli altri partiti e poi la costituzione stessa. In Europa con la crisi delle banche, non solo americane, e grazie alle folli liberalizzazioni sono emerse le montagne di debito a cui gli istituti si sono esposti. Quando queste procedure sono cadute come castelli di carta i governi si sono dissanguati per salvare le banche con fiumi di denaro che hanno indebolito i bilanci pubblici degli stati. Così il debito pubblico europeo è salito in due anni dal 65% all’85% e i governi hanno inventato uno stato di eccezione, quello della spesa eccessiva per la protezione sociale. Si è speso troppo? Bisogna tagliare i bilanci pubblici. Così s’impongono misure sempre più dittatoriali.
Secondo lei ci sono le condizioni per constrastare ideologicamente e culturalmente la vulgata neoliberista?
Il neoliberismo ha stravinto la battaglia culturale, ha conseguito un’egemonia a cui Gramsci poteva guardare con invidia: controlla 28 su 29 governi dei paesi dell’area europea, qualunque siano i nomi dei partiti al governo. Hanno il 95% della stampa a favore, il 99% delle tv, dominano nelle università, e hanno conquistato i governi. Sono piuttosto difficili oggi da sconfiggere. La sinistra come forza partitica poi non esiste più e quindi non ha la forza di opporre un ruolo di riflessione o denuncia paragonabile a quello all’attacco vincente dei neoliberisti. Inoltre non ci sono saggi, libri, testi da contrapporre all’egemonia culturale neoliberale, qualcosa che contrasti la favola dei mercati efficienti, della finanza che inaugura una nuova fase del capitalismo e altre amenità simili.
Le vecchie categorie di pensiero del Novecento non bastano più per comprendere la realtà politica attuale?
No, ce ne sono alcune che funzionano ancora bene. Il fatto è che non basta dire “proletari della UE unitevi”, o cambiando forma dire ‘precari’ o ‘classi medie impoverite della UE unitevi’. Qui bisogna fornire idee, documenti, possibilità di azione e controreazione. Possono esserci milioni di elettori che voterebbero una politica di sinistra, realmente progressista, per uscire dall’austerità, ma chi glielo spiega?
C’è chi indica il salvataggio nell’uscita dall’euro. Oppure decondo lei si può stare dentro e modificarne in qualche modo il pensiero dominante?
Al di là della demagogia di alcuni politici italiani, l’euro è una camicia di forza peggiore anche del ‘gold standard’. Ha giovato solo alla Germania, perfino la Francia ha perso punti nelle esportazioni e aumentato la disoccupazione. Così com’è l’euro non può più funzionare. Sia chiaro che uscire dall’oggi al domani non si può, sarebbe un disastro per i depositi bancari, la fuga dei capitali, la forte svalutazione della moneta sul mercato internazionale. Ma bisognerà affrontare presto la questione del “se e come uscirne”, perchè ciò vuol dire molti mesi di preparazione; oppure possiamo tentare di temperare questa uscita in qualche modo: affiancare all’euro una moneta parallela che permetta ai governi di avere libertà di bilancio, mentre con gli euro si continua a sottostare al giogo dei creditori internazionali. Purtroppo con la Germania al comando e l’inanità del nostro e degli altri governi non c’è molto da sperare. Intanto i muri della Ue scricchiolano e prima o poi sarà il peggioramento della crisi a imporci decisioni drastiche. Sempre che non arrivi Herr Schauble a dirci che non ci vuole più nell’euro. Non è una battuta, stando ai documenti che circolano”.
_____________________________________________
questa è l'ultima intervista di Luciano Gallino. I migliori vanno sempre via per primi e il vuoto che lasciano è sempre più difficile da riempire.......

test velocità

Test ADSL Con il nostro tool potrete misurare subito e gratuitamente la velocità del vostro collegamento internet e ADSL. (c) speedtest-italy.com - Test ADSL

Il Bloggatore