giovedì 11 dicembre 2014

Usa, la nuova risoluzione porta alla guerra contro la Russia?

Fonte: a firma di  Giulietto Chiesa dal Fatto Quotidiano del 7/12/2014
Il 4 dicembre 2014 potrà a buon diritto essere incluso nell’elenco delle date che avranno anticipato, o preparato, la terza guerra mondiale.
Luciano Canfora ha pubblicato un bel libretto, “1914” (Sellerio), a cento anni dall’inizio della prima, per ricordarci, saggiamente, che queste faccende non nascono all’improvviso, ma richiedono una lunga preparazione. E ne descrive il percorso. A posteriori. Forse noi stiamo vivendo il cammino, in medias res, della prossima.
Ne scrivo dopo avere letto le 16 pagine della risoluzione approvata il 4 dicembre dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, 410 voti a favore e 10 contrari (quattro deputati repubblicani e 6 democratici). Il Congresso Usa invita il Presidente a “esaminare” la “prontezza” e la “responsabilità” delle forze armate degli Stati Uniti, ma anche degli alleati della Nato, per sapere se “siano sufficienti” al fine di “soddisfare gli obblighi della difesa collettiva ai sensi dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico”. E’ una dichiarazione di guerra. Contro chi è evidente dal resto della risoluzione, interamente dedicata alla Russia.
Ma la gravità del documento balza agli occhi proprio nel punto citato, là dove richiama gli “obblighi” degli alleati in base all’articolo 5. Che impone a un qualsiasi membro della Nato di intervenire a difesa di un qualsiasi altro membro dell’Alleanza che si trovi sotto attacco. Si dà il caso, però, che l’Ucraina non è un membro della Nato (per lo meno non lo è ancora). Il che induce a pensare che, in questo modo, i deputati americani annuncino un suo immediato ingresso nell’Alleanza, ovvero che chiamino gli alleati a mettere in conto l’obbligo di intervenire comunque, se a questo li chiamerà il Grande Fratello d’oltre Atlantico. Si tenga presente inoltre che, in base alla legislazione americana, se una tale risoluzione diventasse legge, dopo l’approvazione del Senato, essa consentirà al Presidente degli Stati Uniti di dichiarare guerra alla Russia senza bisogno di chiedere ulteriori autorizzazioni del legislatore.
Le accuse alla Russia sono note e sono quelle che hanno condotto alle sanzioni economiche già varate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Ma quello che sbalordisce è l’uso spregiudicato – in una risoluzione politica di tale importanza – delle falsificazioni che il mainstream televisivo e giornalistico ha utilizzato in questi mesi di esplosione della crisi ucraina per far crescere l’isteria anti-russa. I membri del Congresso hanno votato quasi all’unanimità una risoluzione che contiene una serie di invettive propagandistiche e di accuse palesemente infondate. Fino al punto dello scadimento nel ridicolo laddove, al paragrafo 34, ignorando patentemente le rivelazioni di Edward Snowden a proposito dello spionaggio americano verso il resto del mondo intero, il Congresso Usa accusa i russi di “raccogliere illegalmente informazioni sul Governo degli Stati Uniti”. Il bue che dà del cornuto all’asino.
Da notare che la risoluzione è stata approvata negli stessi giorni in cui il Pentagono decideva l’invio di 100 carri armati americani verso destinazioni est-europee, per – ufficialmente – “fronteggiate l’aggressione russa”. Ma di quale aggressione di tratta? Stando a quello che scrive Ron Paul (congressista fino al gennaio del 2013, repubblicano molto indipendente) “la risoluzione non fornisce alcuna prova”. Parla ampiamente di una “violazione della sovranità dell’Ucraina”, ma ignorando “la partecipazione degli Stati Uniti al rovesciamento di un governo eletto a Kiev”. L’ex deputato del Texas ironizza pesantemente sulla richiesta del ritiro di forze russe dall’Ucraina. Il governo americano “non ha offerto alcuna prova che l’esercito russo sia entrato in Ucraina”, sebbene “abbia tutti i mezzi per effettuare una simile verifica”.
Altra accusa alla Russia di Putin non solo infondata ma falsa – lo rileva anche Ron Paul sul suo blog – è quella di avere invaso la Georgia nel 2008. Esistono le conclusioni dell’inchiesta che venne promossa dall’Unione Europea nel dicembre di quell’anno, dalle quali si evince che “fu la Georgia a cominciare una guerra ingiustificata”. Ed è sempre Ron Paul a contestare l’affermazione, data con totale impudenza come vera, secondo cui il volo della Malaysia Airlines fu abbattuto il 17 luglio scorso, nei cieli di Ucraina, da un missile dei ribelli. “Ciò – scrive Paul – è semplicemente scorretto perché il rapporto sull’inchiesta non sarà pubblicato fino al prossimo anno e nessuna informazione preliminare dichiara che l’aereo è stato abbattuto da un missile “(…) né vi è alcuna dichiarazione “che assegni una tale responsabilità a una delle parti”.
A leggere la risoluzione si ha l’impressione che i suoi estensori (e i suoi votanti a favore) abbiano ricavato i loro giudizi dagli articoli di giornale e dai telegiornali americani, senza nemmeno curarsi di effettuare le verifiche. Con lo sconsolante risultato circolare che il cattivo giornalismo finisce per produrre pessime decisioni politiche.
Lo stesso Ron Paul si chiede, con sdegno, come sia possibile che il Congresso degli Stati Uniti, nel quale egli stesso ha seduto per molti anni, possa ora “procedere sulla base di falsificazioni così plateali”. Oppure addebitando all’avversario atti che gli Stati Uniti compiono negli stessi frangenti. Come quando, nel paragrafo 17, la Russia viene incolpata di avere imposto sanzioni contro l’Ucraina proprio mentre “gli Stati Uniti stanno colpendo la Russia con sanzioni economiche e ne annunciano altre”.
Che un ex deputato americano si accorga e denunci queste aberrazioni non cambia la gravità del voto del Congresso su un documento che autorizza “l’invio di armi letali e non letali” all’Ucraina, con il contorno di istruttori militari americani. E’ l’invito a un intervento militare a 10.000 chilometri di distanza, direttamente sulla soglia di casa della Russia.
p.s.
vi do un anno: 2019. Si accettano scommesse su altri .......

mercoledì 10 dicembre 2014

Giorgio Napolitano: “Critica alla politica è degenerata in patologia eversiva”

Fonte: Il Fatto Quotidiano (di F.Q.) del 10 dicembre 2014
“La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva”. Parola di Giorgio Napolitano. Contro le infiltrazioni criminali nella politica e il degrado di quest’ultima. Ma anche contro chi critica la politica, anche se malata: quindi organi di stampa, opinion makers e alcuni esponenti politici ‘non allineati’ come Beppe Grillo e Matteo Salvini. Il presidente della Repubblica ha utilizzato il palco di una manifestazione all’Accademia dei Lincei per dire la sua, seppur indirettamente e non facendone mai il nome, sull’operazione della Procura di Roma che smantellato la cosiddetta mafia capitale e le sue innumerevoli entrature nelle istituzioni. Non solo. Napolitano ha attaccato anche chi spara a zero sui partiti sull’onda dello sdegno. Per Napolitano, “non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa”. Ciò non toglie, ha aggiunto il Capo dello Stato , che “è ormai urgente la necessità di reagire” ad una certa anti-politica, “denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie” ma anche “a riavvicinare i giovani alla politica”.
“Anti-politica è la più grave delle patologie” - Napolitano, ovviamente, non ha potuto non registrare che è in atto una crisi “che ha segnato un grave decadimento della politica, contribuendo in modo decisivo a un più generale degrado dei comportamenti sociali, a una più diffusa perdita dei valori che nell’Italia repubblicana erano stati condivisi e operanti per decenni”. Da qui il proliferare dell’antipolitica, che per il presidente della Repubblica è “la più grave delle patologie” con cui un Paese civile deve fare i conti. Più della corruzione, più delle organizzazioni malavitose nelle istituzioni. Non solo. Per Napolitano, negli ultimi tempi, sono dilagate nei confronti della politica e delle istituzioni “analisi unilaterali, tendenziose, chiuse ad ogni riconoscimento di correzioni e di scelte apprezzabili, per quanto parziali o non pienamente soddisfacenti”. Una azione, ha sottolineato il capo dello Stato, cui non si sono sottratti “infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo, e anche, per demagogia e opportunismo, soggetti politici pur provenienti della tradizioni del primo cinquantennio della vita repubblicana“.
“Anti-politica mischiata ad anti-europeismo” - Da qui l’appello per “una larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell’anti-politica” e “insieme sollecitare un’azione sistematica di riforma delle istituzioni e delle regole che definiscono il profilo della politica”. A chi è rivolto l’invito del presidente? “A tutte le componenti dello schieramento politico“. A sentire il capo dello Stato, inoltre, ultimamente stanno emergendo “svalutazioni sommarie e posizioni liquidatorie” rispetto all’Unione Europea: “Gli ingredienti dell’anti-politica si sono confusi con gli ingredienti dell’anti-europeismo” è l’allarme lanciato da Napolitano, secondo cui a creare questa situazione “hanno contribuito miopie e ritardi delle istituzioni comunitarie insieme a calcoli opportunistici degli Stati membri“.
“In Italia gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici” - Il presidente della Repubblica, poi, ha sottolineata l’esistenza di “un rischio di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare” e che non si possono ricondurre soltanto alla crisi e al malessere sociale. Anzi. A sentire il capo dello Stato oggi ci sono “magari al di fuori di ogni etichettatura di sinistra o di destra, gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici, nel perseguire confuse ipotesi di lotta per una ‘società altra’ o per una ‘alternativa di sistema’. Virus di questo genere – ha detto Napolitano – circolano ancora in certi spezzoni di sinistra estremista o pseudo rivoluzionaria, e concorrono ad alimentare la degenerazione del ricorso alla violenza, mascherato da qualsiasi fuorviante motivazione“. Un rischio, insomma, di focolai di violenza “destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l’errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell’ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia devono fare i conti“.
“Mai come nello scorso biennio metodi di intimidazione fisica in Parlamento” - L’analisi e la critica del Capo dello Stato poi si è spostata sui giovani rappresentanti delle istituzioni, che devono impegnarsi “a servizio del Parlamento e del Paese, impedendo l’avvitarsi di cieche spirali di contrapposizione faziosa e talora persino violenta”. Loro, per Napolitano, devono invece alimentare “ragionevoli speranze per il futuro dell’Italia”. Anche perché “mai era accaduto”, come nel biennio scorso, l’avvio “in Parlamento di metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità, di tentativi sistematici e continui di stravolgimento e impedimento dell’attività legislativa delle Camere”.
L’errore storico di Napolitano: dimentica i tumulti al Senato per l’approvazione della legge Truffa - Su quest’ultima presa di posizione, però, Giorgio Napolitano ha commesso un errore storico. Di episodi di intolleranza parlamentare (e massmediatica) sono pieni gli archivi di Stato e dei giornali. Uno in particolare, poi, ha caratteristiche cronologiche di importanza strategica per la carriera del presidente della Repubblica: datato marzo 1953, ovvero a pochi mesi dal suo esordio in Parlamento come deputato (giugno 1953). Il riferimento è ai tumulti nell’aula del Senato in occasione dell’approvazione della cosiddetta Legge Truffa, ovvero il nuovo sistema di voto voluto dalla maggioranza democristiana e che prevedeva l’assegnazione del 65% dei seggi alla Camera al partito o alla coalizione che avesse racimolato più del 50% dei voti validi. A Palazzo Madama fu bagarre: dopo oltre 70 ore di seduta, scoppiò una rissa (durata oltre 40 minuti) di proporzioni memorabili. Protagonisti gli esponenti del Pci e del Psi, entrambi contrari alla forzatura dell’esecutivo De Gasperi. Aneddoti passati alla storia della Repubblica. Come quel “Lei non è un presidente, è una carogna! Un porco!” urlato da Sandro Pertini all’indirizzo del presidente del Senato Meuccio Ruini. O come l’aggressione verbale del comunista Elio Spano ad un giovanissimo Giulio Andreotti: “Dopo il voto avrete un nuovo piazzale Loreto!” era la minaccia di Spano, con il Divo che, nella pioggia di oggetti lanciati dai banchi della sinistra (ringhiere divelte e sportelli sfasciati: all’epoca si quantificò il danno in un milione di lire), aveva provato a proteggersi indossando a mo’ di casco un cestino per la carta straccia. Il giorno successivo, i giornali rincararono la dose, pubblicando articoli e titoli dai toni a dir poco incendiari. L’Unità evocò il gergo mussoliniano e il primo discorso del Duce alla Camera da premier”, paragonando il Senato a un “bivacco di vecchi democristiani”. Il socialista l’Avanti! non fu da meno, parlando del presidente Ruini come di un “cadavere vivente, sacco gonfio di vanità”. Pezzi, insulti e minacce di un’Italia in bianco e nero che ha dato spunto a molti scrittori (Tumulti in aula di Sabino Labia e Lei non sa chi ero io! di Filippo Battaglia), ma che Napolitano non cita. Eppure, quei momenti, il capo dello Stato li ha vissuti in prima persona e in forma interessata: già militante del Partito comunista, venne eletto deputato proprio in seguito a quei tumulti.
Grillo: “Attento Napolitano o ti denunciamo per vilipendio a M5s” - L’attacco del Capo dello Stato ha provocato la reazione di Beppe Grillo. “Napolitano deve stare molto attento, rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento” ha detto il leader del M5s lasciando il Senato. Sulla stessa linea d’onda anche altri esponenti grillini. “E’ vergognoso che il presidente sia entrato a gamba tesa sulla nostra conferenza sul referendum antieuro tacciandola di antipolitica, mentre resta in silenzio sulla vicenda di ‘Mafia capitala’ e sui due partiti infestati dalla corruzione” ha detto la senatrice Barbara Lezzi. Più politica la presa di posizione di Nicola Morra: “Napolitano sollecita noi ma non ha nulla da dire sullo strumento scelto per combattere la corruzione da questo governo. Siamo subissati dai decreti legge – ha aggiunto il senatore M5s – e Napolitano ne fa ogni volta un monito: ma una volta che davvero serviva un decreto, come sull’anticorruzione, la risposta del governo sono quattro ddl“.
p.s.
innanzitutto andateci piano con i commenti!!! Chiaro? Detto ciò.. mi sovvengono alcune domande: dov'era quando si approvavano le leggi a personam? E quando venivano fatti provvedimenti che mettevano non bastoni ma travi d'acciaio fra le rote della giustizia? E quando un manipolo di "rivoluzionari" occupò il palazzo di giustizia di milano? Qualcuno ricorda qualche monito o comunicato o altro? Io no .... il problema è che la paura fa 90 ... la paura di cosa? Che la gente si svegli come, si spera, in Grecia e Spagna e mandino a casa i vari Venizelos, Rajoy, Papandreu, ecc. con annesse le cricche che li finanziano e supportano. E' questa la sola paura? No ce n'è anche un altra: che la gente capisca che l'euro non è l'europa e che la Germania non è il mostro che disegnano ma i veri mostri anzi i nuovi mostri sono molto più vicini a noi... sono i politici e le cricche di cui leggiamo ogni giorno le gesta sui giornali, quando li acchiappano cone le mani nella marmellata naturalmente..... ma da questo punto di vista tutto tace se non richiami d'ufficio a una maggiore correttezza che lasciano il tempo che trovano naturalmente  ma son parole che si possono spendere perchè fa immagine!

martedì 9 dicembre 2014

La ricaduta della Grecia ‘incaprettata’ dal memorandum

Fonte: il Fatto Quotidiano del 9/12/2014 a firma di Francesco De Palo
Dopo due anni di memorandum, riforme, tasse e scorciatoie per i più furbi (casta compresa), il “gioco dell’oca della Grecia” fa tornare tutti al punto di partenza: Berlino compresa. Non è bastato prendere in mano una calcolatrice e stendere, numericamente, l’elenco di chi deve dare e di chi deve avere in questa partita doppia. Una strategia, quella applicata alla Grecia nel 2011 (ma che molti avrebbero voluto estendere in questo triennio anche agli altri Piigs), che oggi si scontra con la realtà dei fatti.
Alzare la mano e criticare la direttrice di marcia imboccata dai creditori internazionali non significa automaticamente essere antimerkeliani o fautori dello spreco. Anzi.
I fatti di oggi, con le Borse europee in panico per il rischio elezioni anticipate in Grecia, dimostrano che la medicina somministrata ad Atene non ha curato il malato che, al netto di un ritorno sui mercati che ha giovato solo alle agenzie di rating e a qualche speculatore, è ben lontano dall’essere sanato.
La troika in Grecia ha deciso di aumentare improvvisamente la pressione fiscale, tagliare i diritti di tutti, distruggere la sanità, dimenticarsi della Lista Lagarde, lasciare che le autorizzazioni a procedere per i parlamentari corrotti ammuffissero nei cassetti della Camera, accettare che lo Stato il giorno prima delle urne del giugno 2012 spendesse altri milioni di euro per l’acquisto di carri armati Leopard, non riformare la giustizia che persegue oggi imprenditori finiti sul lastrico per la crisi (sono i nuovi poveri nel Paese) mentre lascia liberi quei banchieri che hanno truffato i correntisti e i prefetti che sul conto si sono ritovati decine di milioni di euro.
E soprattutto lasciando che in carcere finisse solo uno: l’ex braccio destro di Andreas Papandreou, Akis Tsogatsopulos, regista di trent’anni di ordini milionari di sommergibili e armamenti vari, la cui ombra inquieta ancora oggi moltissimi politici del Paese che ne temono le rivelazioni.
Avrebbe, invece, dovuto sanare gli sprechi, chiamare a contribuire tutti in modo proporzionato alla propria forza economica, non impoverire ulteriormente i poveri, non svendere la Grecia a multinazionali e ricconi che hanno fatto affari d’oro, chiedere conto a Berlino dello scandalo Siemens per gli appalti alle Olimpiadi del 2004, incastrare i grandi evasori ellenici anziché far arrestare il giornalista che ne dava conto, stimolare la politica che ha prodotto l’attuale buco a coprirlo (almeno parzialmente) con investimenti a lungo e medio termine, sfruttare gli idrocarburi così come sta facendo Cipro in tandem con Israele.
Qual è il risultato oggi? Che il governo conservatori-socialisti anticipa il voto per il presidente della Repubblica senza avere un accordo di massima interpartitico, con il rischio di elezioni anticipate. Ma soprattutto, al di là delle schermaglie politiche che fanno gola a talk show e retroscenisti, semplicemente ad Atene anche chi ha spalancato le porte del Partenone alla troika, ha compreso (solo oggi?) che tutto è stato un grande bluff.
E che forse sarebbe valsa la pena ascoltare l’allora premio nobel per l’economia Christopher Pissarides, che nel 2011 fu l’unico ed il solo a chiedere di ragionare su un default controllato della Grecia. Aniché imporre un memorandum che ha sempre più il sapore di un incaprettamento.
p.s.
L'eurozona così com'è comincia a stare stretta ai manovratori del potere, quello vero, che gestisce il sistema: ricordo che qui non si parla di complotti ma di affari, per quanto criminali siano; per essere più chiari di una montagna di soldi che girano per il pianeta alla continua ricerda di investimenti a basso rischio in aree con poche regole, anzi meglio nessuna..... regola. La politica vi si presta perchè ben sa che senza questi soldi reggerebbe al massimo un mese e poi tutto cadrebbe miseramente. L'eurozona, dicevo, così com'è non va. Non va perchè le troppe resistenze popolari impediscono la libertà di investimento dei soldi e i relativi profitti: come fre per ridurle a un misero rumore di fondo? Fai fallire un paese per terrorizzarne altri cento....... la Grecia è lo spauracchio per gli altri e se va in porto tutto filerà liscio: il mercato vincerà e tutto andrà in discesa, compreso il TTIP. In caso contrario bisogna fare opera di convinzione, anche facendo saltare l'area dell'euro: quella che noi conosciamo come "zona euro" la cui espressione politica è la Unione Europea ossia un coacervo di stati che hanno poco o nulla in comune e che mal stanno insieme..... se non il comune interesse delle élite di tenere salde le redini sol perchè hanno scoperto che solo superando le loro tradizionali differenze possono sperare di fermare il vero processo unificativo, quello dei cittadini che si aspirano a superare le proprie storiche divisioni ma non certo delegando a una oligarchia finanziarizzata le decisioni! Come fermare la nascita di una, vera, unione europea? Semplicemente rendendo odiosa la democrazia da un lato e approfondendo le divisioni fra i vari paesi dell'Unione, come? Mettendone alcuni sotto tutela e spingendone altri a fare da controllori dei primi.. con la fattiva collaborazione dei media, dei ceti imprenditoriali ecc. il laboratorio chiamato "europa" ha offerto grandi opportunità ai capitali di rischio: emntre la gente è troppo presa con il prendersela con i politici "nazionali" i manovratori hanno tutto il tempo per attuare il più classico "prendi i soldi e scappa" proprio ai danni dei succitati cittadini..... che dovranno pagare il conto in termini di povertà, decrescita, abbandono del welfare e quant'altro. Non è un caso che, in questi anni, sono sorti e si sono sviluppati oltre i loro normali confini movimenti, partiti, ecc. di stampo nazionalista o autonomisti: li definiscono "glocal" ossia espressione socio-politica di quella repulsione dei cittadini nei confronti della globalizzazione liberista........ e non è un caso che siffatti movimenti stiano crescendo in numero e peso perchè altro non rimane da fare ai cittadini nei confronti di questo sistema visto come lontano e astratto; il problema è che il lato oscuro di questa contro-globalizzazione rischia, se non gestita democraticamente, di essere congeniale al target contro cui si scaglia perchè non riesce a comprendere che il potere che combatte, oltre che essere multiforme, è estremamente adattabile alla bisogna ossia impara dai propri errori e sa adattarsi e assorbire come un muro di gomma l'impatto di tali movimenti...... basta guardarsi intorno per comprenderlo e prendere le contromisure adatte: in primis non seguire il primo che alza il dito ma nemmeno accettare con rassegnazione tutto quello che viene propinato perchè solo se si capisce che quelle ora applicate sono solo "una delle prescrizioni per curare una malattia" e che ce ne sono altre, molte altre per uscirne.... basta aprire gli occhi!

lunedì 8 dicembre 2014

Asili nido, prendi le stesse tasse anche al Sud e spendi più al Nord: come nel 1912

Fonte: dal Fatto Quotidiano a firma di Alessandro Cannavale del 8 dicembre 2014
Nell’Italia settentrionale, accanto a una generale ignoranza dell’entità degli oneri finanziari che i comuni meridionali sopportano per l’istruzione elementare proporzionalmente alla potenzialità dei loro bilanci, è diffuso il preconcetto che i contributi dello Stato siano tanto ingenti e così saggiamente distribuiti che solo quella buona dose di indolenza e mal volere, che suolsi attribuire ai meridionali in genere, possa spiegare il costante insuccesso della nostra legislazione scolastica nell’Italia meridionale”.
Pensate che scriva il solito meridionalista, intento a perorare la causa stantìa della sua terra e della sua gente? Devo smentirvi. Siamo agli inizi del Novecento. Scrive Giuseppe Donati. Giornalista e politico di Granarolo. Settentrionale onesto e coraggioso. L’articolo è del 1912: “L’analfabetismo e la legge Credaro nel Mezzogiorno”. Vi sottolinea l’assurdità della legge scolastica del tempo, che attribuiva ai comuni gli oneri della lotta all’analfabetismo. E così, in provincia di Bari, ci si trovava a spendere il 20% del budget per l’istruzione, mentre, in quella di Milano, solo il 9%. Superfluo ricordare che i comuni meridionali avevano risorse assai più esigue, al di là delle percentuali d’incidenza.
Ne cito il brano centrale, che motiva questa digressione: “Incominciò così, [parliamo del 1876] il vizio organico della nostra politica finanziaria di Stato: cioè prendendosi a base dei contributi dello Stato le scuole esistenti di fatto, questi contributi si trovarono distribuiti fra i comuni in ragione non della povertà, ma della ricchezza; cioè i comuni più ricchi, capaci di istituire maggior numero di scuole, assorbirono una maggiore quantità di contributi statali. In altre parole, la maggior parte degli aiuti affluì spontaneamente nei comuni meno disagiati del nord”.
Storie vecchie? Roba che porta addosso odor di vecchi archivi? Devo smentire, ancora. Abbiate ancora un briciolo di pazienza e forse sarò in grado di spiegare per quale ragione ho dovuto scomodare l’illustre Donati.
Qualche sera fa mi giunse, via Facebook, questo messaggio da Marco Esposito, stimatissimo giornalista de Il Mattino, che divulgo, a seguito di sua approvazione: “Fa’ un piccolo esercizio: vai su www.opencivitas.it e clicca su un comune del Sud a caso. Vedi quanti soldi sono assegnati come fabbisogno standard per gli asili nido. Poi cerca un comune con simile popolazione del Nord e fai il confronto sui fabbisogni assegnati. Ripeti l’esercizio per quanti esempi vuoi. I fabbisogni standard saranno utilizzati per ripartire una quota delle risorse del 2015. Più bassi sono i fabbisogni, meno risorse avrai”.
Non ne sapevo nulla. Lo ammetto. Scopro che lo stesso Esposito, già nel marzo 2014, scriveva: “Quando il Sud spende troppo, si applica con rigore (come giusto) il costo standard, quando il Sud spende poco – come per gli asili nido e le scuole – a sorpresa vale la famigerata «spesa storica», proprio quella che il federalismo fiscale prometteva di superare”.
Decisamente incuriosito, vado su www.OpenCivitas.it e lo consulto per due comuni a caso; Milano e Napoli. Poi comincio a guardare per decine di comuni; ecco cosa ho trovato… La spesa storica per la voce asili nido, per il comune di Napoli, è di 33 milioni circa, il fabbisogno di 15 milioni. Differenza: - 52%. A Milano, la spesa storica è di 117 milioni, mentre il fabbisogno standard è di 128 milioni, con una differenza del +9.1%. Nei comuni in cui, invece, nel 2010 non si sono effettuate spese per asili nido, il fabbisogno assegnato diventa 0 euro, anche per il prossimo 2015. Ciò significa che il dato Comune non potrà nemmeno avviare nuovi servizi di asilo, all’occorrenza. Ciò vale per tantissimi comuni… Andate a vedere…
Facciamo chiarezza: il concetto di “spesa storica” misura l’ammontare effettivamente speso da un Ente in un dato anno per l’offerta di servizi ai cittadini. I Fabbisogni Standard misurano invece il fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali e agli aspetti socio-demografici della popolazione residente. È davvero una singolare circostanza il fatto che proprio su due voci, quella della spesa per gli asili e quella per l’istruzione, dove maggiore è lo sbilanciamento tra Nord e Sud, si sia scelto di cristallizzare lo status quo, prolungandolo sull’asse temporale. Sono state avanzate diverse proposte per superare il problema, ma, al momento, non ho trovato notizie in merito a cambi di rotta.
Lo Stato, dunque, prendeva, per mezzo delle tasse, denaro da tutta Italia – e ne prendeva, relativamente alla ricchezza, più dal sud povero che dal nord ricco – e il provento di queste tasse lo adoperava non per aiutare i più poveri, ma per migliorare i più ricchi”. Ancora Donati. Non Esposito…
p.s.
a proposito dei primi anni post unitari che è: assodato che tasse, tariffe e altro del regno di sardegna erano molto più alti del resto dello stivale; che il porto commerciale del regno delle due sicilie era "molto" pericoloso non solo per gli interessi "sardi" ma pure, e questo contava molto di più, per quelli inglesi; che il modello "francese" di stato accentrato fu imposto proprio per evitare spinte aunomiste.. come quelle milanesi; che il famoso tesoro che i piemontesi avrebebro rubato non era tanto quello raccontato quanto la ricchezza delle economie degli altri regni.... un regno di rapina per uno neonato stato che rapinava una parte dello stivale per sorreggerne un altra.. è già un miracolo che sia durato tanto!

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