giovedì 4 settembre 2014

Bce, Draghi rimanda “misure eccezionali” ma taglia i tassi. E le previsioni di crescita

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 4 settembre 2014

Per rilanciare la crescita e il livello dei prezzi dell’Eurozona basteranno un nuovo calo dei tassi di interesse al minimo storico, le previste iniezioni “condizionate” di soldi nelle banche (al via il 18 settembre) e l’appena annunciato acquisto di obbligazioni garantite (covered bonds) e titoli che impacchettano prestiti concessi a famiglie e imprese (in gergo Assed backed securities). Mario Draghi ne è convinto. Per questo la Banca centrale europea non utilizzerà, per ora, lo strumento ormai noto come il “bazooka”: lo shopping di titoli di Stato sul mercato (quantitative easing), simile a quello messo in campo dalla Federal Reserve statunitense a partire dal 2009. Quanto alle presunte tensioni delle ultime settimane con Angela Merkel sul tema caldissimo della “flessibilità” sui conti pubblici, il presidente dell’Eurotower ha chiarito di non aver affatto cambiato opinione: “Per procedere con le riforme”, ha detto, “è sufficiente la flessibilità già contenuta nel Patto di stabilità”. Una doccia fredda per il governo di Matteo Renzi, che fin dall’esordio alla guida del semestre europeo ha puntato tutto sull’interpretazione flessibile del Patto.
Taglio dei tassi “non unanime” – Draghi, parlando dopo la riunione del Consiglio direttivo, ha detto che la decisione di un taglio di dieci punti del tasso di interesse di riferimento, dallo 0,15 allo 0,05 per cento, non è stata unanime. Assai probabile che i “falchi”, cioè i governatori delle banche centrali tedesca e finlandese, si siano opposti a questo nuovo allentamento monetario. Che sarà comunque l’ultimo, ha detto Draghi: “Ora siamo al limite più basso, arrivati al quale non sono più possibili aggiustamenti tecnici”. Sforbiciata anche per il tasso sui depositi, che passa da -0,1 a -0,2%, e per quello marginale, che si riduce allo 0,3 per cento.
L’Eurotower comprerà titoli (non di Stato) per facilitare il credito all’economia – Oltre al taglio dei tassi, Draghi ha annunciato l’avvio di due misure “non convenzionali”. In prima battuta un nuovo round di finanziamenti a lungo termine e a tassi bassissimi alle banche (Tltro), simile a quelli del 2011 e 2012 ma condizionato all’ammontare di prestiti che ogni istituto concede al settore privato. La prima asta prenderà il via il 18 settembre e gli istituti italiani hanno già “prenotato” 75 miliardi di euro. Poi, a ottobre, partirà anche l’acquisto di obbligazioni garantite (covered bonds) e titoli privati cartolarizzati (Abs), cioè strumenti finanziari che “impacchettano” prestiti a famiglie e imprese e da quegli stessi prestiti e mutui sono garantiti. Operazione i cui dettagli “saranno annunciati dopo il Consiglio” direttivo che si terrà “a Napoli il 2 ottobre”. Nessuna delle due iniziative arriva a sorpresa, considerato che erano state anticipate già durante la riunione di giugno. In compenso è alta l’aspettativa sui risultati. L’obiettivo, sulla carta, è sempre il solito: favorire il credito all’economia.
Le misure eccezionali “all’americana” sono ancora rimandate – Secondo alcuni analisti, l’acquisto di Abs e covered bonds può essere letto come un “quantitative easing all’europea”. Una soluzione di compromesso, insomma. Certo è che non si tratta del famoso “bazooka”, il massiccio shopping di titoli di Stato che da tempo i mercati europei attendono con ansiaDraghi ha comunque riferito che il board della Bce è stato “unanime” nel concordare sul fatto che misure eccezionali aggiuntive andranno adottate “se necessario”. “Si è parlato del quantitative easing“, ha risposto Draghi a un giornalista in conferenza stampa, “e dell’acquisto di bond, e alcuni governatori hanno detto chiaramente che ne vorrebbero fare di più, altri meno”. Ma i tempi non sono maturi e soprattutto l’ex governatore della Banca d’Italia spera che le decisioni di giovedì siano sufficienti per “un ritorno dei tassi di inflazione a livelli più vicini al 2%”. Contro lo 0,4% di luglio e lo 0,3% di agosto, mese che in Italia ha visto la variazione del livello dei prezzi scendere sottozero per la prima volta dal 1959. Tanto che la Bce ha ulteriormente rivisto al ribasso la stima sul livello complessivo di quest’anno: 0,6% anziché 0,7%.
I mercati festeggiano e l’euro cala ai minimi sul dollaro. Spread cala a 138 - Gli annunci arrivati da Francoforte sono piaciuti ai mercati e in particolare a Piazza Affari, che ha registrato un rialzo dell’1,4% subito dopo la notizia della sforbiciata e ha poi proseguito in ulteriore progresso chiudendo a +2,82%, maglia rosa in Europa. Positivi comunque anche gli altri listini del Vecchio continente. Il taglio ha subito avuto l’effetto desiderato anche sul cambioeuro-dollaro: la moneta unica è subito scesa ai minimi dal luglio 2013 e in chiusura è scivolata sotto quota 1,30, a 1,297. Un andamento che favorisce le esportazioni e dovrebbe, in prospettiva, far salire un po’ l’inflazione, che in agosto è scesa allo 0,3%, ben lontano dal 2% che rappresenta l’obiettivo della Bce. Si è ridotto anche il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani a dieci anni (Btp) e gli equivalenti tedeschi (bund), cioè lo spread, che ha chiuso a 138 punti base rispetto ai 150 di mercoledì. Il tasso di interesse del Btp è al 2,36%, contro il 2,47% della chiusura di mercoledì.
Limate ancora le previsioni di crescita – C’è da sperare che l’”esteso acquisto” di titoli cartolarizzati riesca a rimettere in moto l’economia dell’area euro. Gli analisti di Francoforte hanno infatti ulteriormente rivisto al ribasso le previsioni sulla crescita: il Pil, stimano ora, aumenterà quest’anno dello 0,9% e non dell’1%. Mentre nel 2015 il progresso sarà dell’1,6% contro l’1,7% previsto in precedenza. Aumentata, invece, la stima sulla crescita nel 2016, che ora è vista all’1,9%. “I rischi al ribasso”, ha spiegato il presidente, “sono legati alla perdita di slancio economico che potrebbe rallentare l’investimento privato e ai rischi geopolitici che potrebbero avere un impatto negativo sulla fiducia e alle insufficienti riforme strutturali”.
“Gli Stati varino politiche fiscali favorevoli a crescita e riforme strutturali”Le sempre invocate riforme, appunto. Per rilanciare la crescita, ha ricordato Draghi ricalcando il discorso tenuto durante il vertice dei banchieri centrali a Jackson Hole, non basta la politica monetaria. Anzi: la politica monetaria da sola non ha effetto: “Non esiste stimolo monetario o fiscale che possa produrre effetti senza riforme strutturali forti”. Innanzitutto, dunque, i paesi dell’Eurozona “devono adottare politiche fiscali più favorevoli alla crescita”. Poi le riforme strutturali “devono adesso guadagnare slancio per conseguire una crescita sostenibile più forte e aumentare l’occupazione nell’eurozona”. Riforme che “in alcuni paesi devono essere ancora varate e in altri implementate”. Ogni riferimento all’Italia e ai 700 decreti attuativi ancora mancanti (parola del ministro Maria Elena Boschi) non è puramente casuale. Draghi ha poi negato che per portare a termine le riforme serva meno austerità sui conti pubblici. “Il Patto di crescita e stabilità, è la nostra àncora e le regole non devono essere violate. C’è flessibilità nell’ambito delle regole”. E comunque,“dal punto di vista del rafforzamento della fiducia, che manca in molti paesi, sarebbe molto meglio se prima ci fosse una seria discussione su riforme strutturali poi una discussione sulla flessibilità”. La parola definitiva, insomma, sulle polemiche post-Jackson Hole sfociate, stando alle indiscrezioni, in una telefonata con la cancelliera Merkel “preoccupata” che le parole di Draghi andassero lette come un’apertura alla flessibilità. La risposta, che non piacerà a Matteo Renzi, è no. A proposito di Renzi, a Draghi è stato anche chiesto su che cosa si sia concentrata la conversazione durante l’incontro agostano tra i due a Città della Pieve. ”La nostra conversazione rimane confidenziale, non ho nulla da aggiungere a quanto detto”, è stata la secca risposta.
p.s.
ONDE EVITARE EQUIVOCI: sono articoli ripresi dal Fatto Quotidiano, con tanto di link e autore (laddove previsto). Quindi se manca qualcosa (foto e/o intestazione) lo trovate sul link originale...
la prossima settimana non ci saremo ci risentiamo lunedì 19..

Renzi: “Meglio investitori esteri con soldi veri che il ‘salotto buono’ italiano”

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 3 settembre 2014
“Preferisco che arrivi qualcuno dall’estero con soldi veri” a creare posti di lavoro “a certi presunti capitalisti italiani che hanno finto di fare investimenti e invece da trent’anni son sempre loro, quelli del salotto buono”. Matteo Renzi, parlando mercoledì mattina a Rtl, torna a indossare le vesti del rottamatore di quello che la settimana scorsa ha definito “capitalismo di relazione ormai trito e ritrito”. Concetto ribadito all’emittente radio: “In Italia sono 30 anni in cui sono sempre i soliti, che sono i proprietari dei giornali”, quelli “che stanno dentro i salotti che contano della finanza, che si comprano le aziende e poi i posti di lavoro non crescono e l’Italia da 15 anni è ferma. Allora io vorrei spalancare questo Paese. Non mi interessa chi sei. Non si può continuare a vivere di totem e di tabù, gli italiani vogliono posti di lavoro, oggi. Ma per averli bisogna aprire il paese agli investimenti. A volte sono stati preferiti gli amici degli amici e la storia del nostro capitalismo è stata fatta sempre dai soliti noti”.
“Il lavoro si crea con regole chiare e semplificazione” – Continuando il ragionamento su mercato del lavoro e polemiche sull’articolo 18, Renzi ha detto di non essere “per niente preoccupato sulle regole”, “il posto di lavoro non si crea cambiando le regole. Qualcuno pensa che in Parlamento ci siano maghi, capaci di creare posti di lavoro cambiando le regole. Per crearli, invece, bisogna far sì che gli imprenditori investano”. Per questo la “vera sfida è dire agli imprenditori stranieri ‘venite in Italia’ o dire a quelli italiani di restare”. Per far sì che ciò accada, servono “regole chiare sulla giustizia; semplificazione burocratica; un paese con meno politici e più politica. Per un imprenditore le regole del lavoro sono importanti, ma ancor più lo è il contesto, il cosiddetto business contest”. Per quanto riguarda l’ipotesi del superamento dell’articolo 18 e della reintegra obbligatoria il Premier ha dichiarato: “Quella è la direzione di marcia, mi sembra ovvio. Sarà possibile solo se si cambierà il sistema delle tutele”. 
“Spending review non per 17 miliardi ma 20″ – In una lunga intervista a Il Sole 24 Ore, iniziata secondo il direttore Roberto Napoletano con Renzi che “brandisce una sciabola muovendosi da un capo all’altro della stanza nel suo ufficio a Palazzo Chigi”, il presidente del Consiglio ha garantito che sul bonus di 80 euro non intende fare marcia indietro, anzi lo stabilizzerà. “E se riesco lo allargo”. Renzi ha poi alzato la posta sulla spending review sostenendo che “i tagli saranno non per 17 ma per 20 miliardi per investire in istruzione e ricerca senza aumentare tasse”. In che modo? Il governo valuterà “tagli del 3% per ciascun ministero”. Quanto al commissario Carlo Cottarelli, con il quale notoriamente i rapporti sono tesissimi e che solo lunedì ha ribadito il suo piano di tagli alle partecipate escluso all’ultimo minuto dallo Sblocca Italia, “ha la mia fiducia e quella di Padoan” e “gli ho chiesto di restare”, dice il premier. “Vedremo se riusciremo a trattenerlo”. L’intervento sulle partecipate? “Lo faremo con un disegno strategico”, inserirlo nello Sblocca Italia “sarebbe stato un errore”. 
“Sì a privatizzazioni ma non partiamo da Eni e Enel. Non esiste operazione taglia-debito” – Smentita invece l‘accelerazione sulla vendita di ulteriori quote di Eni ed Enel, che a fine agosto era stata confermata dallo stesso ministero dell’Economia: “Le privatizzazioni si faranno e i target previsti verranno rispettati”, ma “non sono convinto che si debba partire da Eni e Enel. Non vedo prioritario ridurre le quote dello Stato in due società che hanno grandi potenzialità, il corso dei titoli può ancora crescere, si può fare un discorso più strategico”. Il presidente del Consiglio ha poi etichettato come “fantapolitica” le voci su un rimpasto di governo: “La squadra è questa e non si tocca, a tempo debito sostituiremo solo il ministro degli Esteri”. E non esiste nemmeno, assicura Renzi, un piano per tagliare il debito italiano creando una società veicolo fuori dal perimetro della pubblica amministrazione: “Non si fa: non possiamo permetterci un danno reputazionale“.
“Non è serio solo ciò che viene detto con una faccia seria” – All’ultima domanda di Napoletano, che chiede a Renzi se “abbia consapevolezza della gravità della crisi” e del fatto che “la priorità oggi è l’economia e non le riforme istituzionali” e se pensi che nel programma Mille giorni ci sia un disegno organico che rifletta questa urgenza”, il premier ribadisce che “avendo convinto 4 italiani su 10″ ora non intende “guardare in faccia nessuno”. “Questo 41% (i voti presi alle Europee, ndr) è un utile che reinvesto nella nostra azienda, che è l’Italia”, ma “continuerò a farlo con quello stile di leggerezza che è mio: non è serio solo c’è che viene detto con una faccia seria”. Per salvare l’Italia, è la conclusione, “non servono facce corrucciate ma idee pesanti”.

martedì 2 settembre 2014

Ucraina, Nato prepara 4 mila soldati. Russia: “Siamo sotto minaccia militare”

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 2 settembre 2014

Quattromila uomini, in grado di essere dispiegati sul terreno con un preavviso di 48 ore, sostenuti da logistica ed equipaggiamento preposizionati nei Paesi dell’est europeo vicini alla Russia. A due giorni dal vertice della Nato in Galles che sarà dominato dalla crisi ucraina e che darà il via libera alla nuova forza di reazione annunciata dal numero uno dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, emergono i dettagli sul Piano di intervento rapido annunciato lunedì dal segretario generale dell’Alleanza contro le mosse aggressive della Russia in Ucraina. L’obiettivo, scrive il New York Times, è di rendere l’impegno della Nato alla difesa collettiva “più credibile e di rafforzare la sua deterrenza”. La risposta del Patto Atlantico alla partecipazione di soldati russi alla guerra nell’est Ucraina passa anche per le manovre al confine: centinaia di soldati di nove Paesi della Nato (tra cui l’Italia), con il supporto di blindati e aerei, partecipano da oggi a lunedì 8 settembre ad esercitazioni militari coordinate dall’Alleanza sul fronte orientale. Denominata Steadfast Javelin II, l’esercitazione è cominciata il 25 agosto e viene messa in atto per rassicurare i paesi dell’Europa orientale. Alle manovre – sul territorio di cinque Paesi (Germania, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia) – partecipano, oltre all’Italia (che schiera, secondo alcune fonti, 95 paracadutisti), Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovenia, Regno Unito e Stati Uniti. Coinvolti anche due Paesi della Partnership for peace, Bosnia Erzegovina e Serbia.
“Il summit di Newport è molto importante – spiega il premier estone Taavi Roivas, che stasera accoglierà a Tallinn il presidente degli Stati Uniti Barack Obama – perché la Russia pensa di poter cambiare con la forza i confini di un Paese europeo sovrano e questo sta accadendo non lontano dai confini della Nato”. Di fronte al cambiamento della situazione della sicurezza, secondo Roivas “abbiamo bisogno di ripensare i nostri piani e di rafforzare i nostri alleati, in modo da poter essere sicuri al 101% che tutti i Paesi membri sono protetti allo stesso modo e con forza”. Ed è proprio questo che Obama vuole riaffermare nel viaggio a Tallin e poi nel summit dell’Alleanza a Newport, giovedì e venerdì. “Le tensioni cui stiamo assistendo tra la Russia e l’Occidente saranno in primo piano in Galles – spiega Ivo Daalder, ex ambasciatore americano alla Nato e oggi a capo del Council on global affairs di Chicago – Il presidente guiderà lo sforzo” per dimostrare l’impegno dell’Alleanza contro la sfida di Mosca per ridisegnare l’ordine europeo post guerra fredda, Obama “vuole riaffermare l’unità e la forza della Nato”.
La Russia parla apertamente di minaccia militare. “Non ho dubbi sul fatto che la questione dell’avvicinamento delle infrastrutture militari dei Paesi membri della Nato ai confini del nostro Paese, compreso l’ampliamento, rimarrà una delle minacce militari esterne per la Federazione russa“. Lo ha detto il vice segretario del Consiglio di sicurezza russo, Mikhail Popov, in un’intervista con l’agenzia di stampa Ria Novosti. Tutte le azioni della Nato, ha aggiunto, mostrano che sia gli Usa sia l’Alleanza stanno provando a deteriorare le relazioni con Mosca. “Gli Usa – afferma Popov – vogliono rafforzare le proprie truppe negli Stati baltici. Hanno già deciso di trasferire le proprie armi pesanti e l’equipaggiamento militare, inclusi carri armati e veicoli armati, in Estonia. E tutto questo vicino ai confini con la Russia”. Una situazione di fronte a cui Mosca non starà a guardare. L’attuale dottrina militare, spiega Popov, è stata adottata nel 2010, ma la nuova versione verrà resa nota a fine 2014.  ”Oggi la Crimea fa parte del territorio russo e un’aggressione armata contro la Crimea verrebbe trattata come un’attacco alla Russia, con tutte le relative conseguenze”.
Nell’est del Paese, intanto, la situazione si fa ogni giorno più difficile. Secondo l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, sono oltre 500 mila le persone fuggite dalle proprie case a causa del conflitto nell’est dell’Ucraina. Non solo: il numero degli sfollati interni in Ucraina è più che raddoppiato nelle ultime quattro settimane, raggiungendo 260 mila persone. Altri 260 mila hanno cercato asilo in Russia. Inoltre, riferisce l’agenzia, dal primo gennaio oltre 121 mila cittadini ucraini hanno fatto richiesta di status di rifugiato o di asilo temporaneo in Russia. Altri 138.825 ucraini, infine, hanno chiesto un permesso di soggiorno in Russia oppure di essere ammessi nel programma di ‘reinsediamento dei connazionali’. Complessivamente, secondo le autorità di Mosca circa 814 mila cittadini ucraini sono entrati in Russia dall’inizio dell’anno, dato in cui sono incluse le persone che hanno fatto richiesta di asilo o di permesso di soggiorno.
Non si ferma, intanto, l’avanzata delle forze separatiste che rivendicano il controllo di tutte le strade che portano a Mariupol, la città di importanza strategica sul mar d’Azov, nel sudest dell’Ucraina. Gli osservatori dell’Osce, citati dall’agenzia russa Itar-Tass, confermano che le forze di Kiev hanno perso l’aeroporto di Lugansk, distrutto negli scontri di questi giorni. Intorno e a Donetsk sono in queste ultime ore diminuiti i combattimenti mentre l’aeroporto della città sarebbe ancora nelle mani delle forze ucraine. “Le milizie controllano l’autostrada Donetsk-Mariupol escluso il villaggio di Manhush che rimane sotto controllo delle forze ucraine. Tutte le strade che portano a Mariupol da altre città sono pienamente sotto il controllo delle milizie. A Mariupol rimangono solo alcune unità del ministero degli Interni e i battaglioni Azov e Shakhtarsk“, assicurano i filo russi. Confermata da fonti indipendenti la caduta delle due località di Komsomolskoye e Telmanovo poco a nord di Mariupol.
p.s.
il sistema capitalistico è in crisi? Che si fa? Una guerra ... sapete i maligni dicono che l'intervento americano in Bosnia non fu, come dire, deciso solo per ribaltare le sorti della guerra civile e fermare i massacri ma anche per motivi tutti interni.. diciamo alla Casa Bianca e alle chiacchiere che sorsero allora intorno all'allora inquilino: spostare l'attenzione, tutto qui. Anche oggi non è un caso che mentre la crisi si approfondisce gli Stati cominciano a pensare di sfoltire un pò gli arsenali .. d'altronde è da anni che, sottotraccia, tutti (perfino noi) si stanno riarmando, perchè? Credete davvero che l'orso russo sia così pericoloso? Se fosse così l'ucraina se la sarebbero già presa senza se e senza ma, quindi il motivo dev'essere un altro e visti i precedenti storici c'è da pensare che qualcuno ha calcolato che alla fine i russi faranno i bravi dimostrando, ancora una volta, quanto poco conoscono il carattere russo e la loro storia: dovrebbero studiare storia ma è ...... pericoloso farlo, dovessero diventare troppo intelligenti.

lunedì 1 settembre 2014

Capitalismo, sei mosse per uno scacco matto

di Roberto Marchesi | 1 settembre 2014
Nel suo più recente best-seller “Ogni nazione per conto suo: cosa succede quando nessuno controlla il mondo?” l’economista geopolitico Ian Bremmer simula una specie di partita a scacchi tra il capitalismo globalizzato e il resto del mondo e, come magistralmente scrive Paul B.Farrel nel suo articolo su Market Watch (WSJ) lui riassume la partita in 5 mosse che consente ai capitalisti di aver ragione di tutti gli avversari, compreso i politici, e di arrivare a dominare molto rapidamente il mondo intero. Il mondo però non si ferma alla quinta mossa, quindi Bremmer prevede che tutto questo genererà altrettanto rapidamente anarchia e caos.
Se questo racconto fosse solo un’abile narrazione di fantapolitica, saremmo tutti contenti del brivido lungo la schiena che i bravi Bremmen e Farrel sono riusciti a darci, ma il guaio è che ci sono troppe cose nella loro esposizione dei fatti che assomigliano tremendamente alla realtà. Cose che non è detto che avvengano tutte esattamente nel modo narrato, ma che è del tutto possibile che accadano. Infatti attualmente il mondo è già, o è molto vicino, al punto G-Zero, ovvero quella fase in cui più nessuna leadership, né di una singola nazione né di gruppi riuniti in G8, G20, ecc. riesce più a definire una leadership alla quale gli altri si adeguano.
La prova di questo, nell’esempio illustrato da Farrel, è che quasi contemporaneamente alle sanzioni che nei giorni scorsi l’America comminava alla Russia, colpevole delle invasioni territoriali in Ucraina, i leaders dell’americana Exxon Mobil e della russa Rosneft, ovvero due abilissimi alfieri del capitalismo globale, si stringevano le mani per siglare un accordo sulle esplorazioni petrolifere nel continente artico.  
Business is business, come insegnano ormai in tutte le scuole del mondo, ma lo schiaffo alla leadership di Obama in questa occasione è piuttosto serio, e i repubblicani (avversari politici di Obama) non mancano di far notare la debolezza politica e strategica della linea scelta da Obama.
Quindi G-Zero? Sembra di si, perché è proprio quello che Farrel mette nella prima mossa, quella che definisce l’incapacità o impossibilità di ciascun leader politico mondiale di prendere decisioni in grado determinare la condotta che verrà seguita dai partners e temuta dagli avversari.
La seconda mossa è quella che definisce la salita alla ribalta del potere mondiale di quello che viene definito il capitalismo di Stato ovvero quello, per esempio, della Cina, che pur essendo guidata da un regime sostanzialmente dittatoriale comunista, nel business copia ormai in tutto e per tutto il sistema capitalista, con l’unica differenza che il capitalismo cinese è controllato rigidamente dal partito unico cinese. E poi ci sono le monarchie arabe, e le democrazie di facciata come quella russa le quali, pur avendo un rigido controllo governativo su ogni cosa, lasciano a individui privati la possibilità di avviare iniziative imprenditoriali sul modello capitalista.  
Ma il capitalismo di Stato è come il cavallo di Troia, se te lo metti in casa ben presto ti brucerà la casa e si impossesserà di tutto.
Infatti (terza mossa) il capitalismo moderno non è più quello di Adam Smith, oggi sono le ideologie estreme del liberismo di Milton Friedman, di Any Rand, di Ronald Reagan a dettare la dottrina capitalista, quella che predica lo Stato come il principale avversario della libera impresa, quindi da demolire il più possibile (salvando ovviamente le funzioni di sovvenzionatore quando le cose vanno male).
In questa fase però il capitalismo ha trovato la sua più rapida e imponente crescita, determinata anche dall’accaparramento di quote di ricchezza che prima raggiungevano altre fasce di popolazione. Bremmer e l’economista francese Nouriel Roubini rilevano nell’avidità, arroganza, individualismo ed egocentrismo dei nuovi capitalisti la ragione prima di tale crescita.
Ecco perciò la quarta mossa, quella che congela la situazione creatasi col G-Zero.
Non essendoci più leaderships capaci di regolare i conflitti piccoli e grandi tra gli interessi dei vari soggetti (persone o nazioni), i conflitti aumenteranno di numero e di intensità e insieme a questi incominceranno a sorgere i primi focolai di anarchia. Ognuno curerà esclusivamente i propri interessi incurante degli effetti che provocherà intorno.
Quinta mossaL’inazione dei governi, incapaci di agire singolarmente e/o tramite nuovi accordi internazionali apre la strada a conquiste possibili mediante l’uso di imponenti masse di capitali, ovviamente manovrate da singoli capitalisti o da gruppi di loro aventi il medesimo interesse. In breve il mondo non sarà più controllato dai Parlamenti e dai governi nazionali, ma dai capitalisti, che col potere dell’immensa quantità di denaro in loro possesso potranno controllare governi, banche, televisioni e intere nazioni.
In questa fase, che si potrebbe consolidare già nei prossimi 5 – 10 anni (fonte: Pentagono), la vittoria del neo-capitalismo libertario sarà totale.
Ma la gente sarà soddisfatta?
Sesta mossa. L’emergere un po’ ovunque di miliardari che drenano gran parte della ricchezza prodotta dalle nazioni ricche ha già prodotto una forte e crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Oggi ci sono al mondo già 1.645 miliardari. Nel 2000 erano solo 322. La ripartizione dei miliardari tra le aree geografiche (secondo la rivista Forbes) è questa: Usa 492, Europa 468, Cina 358, Russia 111, America Latina 85, India 65, Canada 29, Africa 29, ecc. Tra i più ricchi ci sono quindi 67 miliardari che da soli posseggono metà di tutta la ricchezza del mondo. Di questo passo (dice Credit Suisse) entro il 2100 ci saranno 11 super ricchi che arriveranno a possedere più di un trilione di dollari ciascuno (1 trilione = mille miliardi).
Prima del 2100 si moltiplicheranno però anche altri effetti originati da G-zero e dall’assenza di leaderships dei governi: ci saranno ribellioni, lotte di classe, rivoluzioni, guerre e forse persino l’utilizzo di armi nucleari ad effetto limitato.
La descrizione finisce qui, ma lo scenario è davvero pessimo, e anche tremendamente prossimo (2020). E’ possibile tutto questo? Purtroppo si. E probabile? Per fortuna no.
Bremmer e Farrel danno per scontato che i governi non facciano niente per parare questi rischi e per mettere il guinzaglio a questo disastroso neo-capitalismo. Non è detto che finisca così, ma questo dipende più da noi che dai governi, perché i governi in democrazia siamo noi a sceglierli.
p.s.
come dice l'articolista sembra tantapolitica ma, purtroppo, non lo è; anzi potremmo dire che se proprio vogliamo un esempio dello scenario basta riguardare agli ultimi 10 anni e ben si comprende come poche migliaia di individui con un enorme ricchezza, quindi un enorme potere, possano condizionare una massa di 6 md di persone.... con la complicità dei corifei servili sempre prontio a raccogliere l'elemosina che gli viene lasciata.

domenica 31 agosto 2014

Deflazione, l’Italia è a rischio

di | 31 agosto 2014

L’Italia rischia la deflazione, un male forse peggiore dell’inflazione a giudicare dalle difficoltà pluri-decennali che il Giappone continua a incontrare per uscirne fuori. La deflazione è in effetti l’opposto dell’inflazione poiché i prezzi invece di salire scendono: la loro caduta, a sua volta, fa crollare investimenti, salari e occupazione. In ultima analisi la deflazione distrugge ricchezza.
L’aspetto più pericoloso è, come nell’inflazione, quello psicologico. L’economia si contrae anche perché la gente, anticipando prezzi futuri sempre più bassi, pospone gli acquisti, e così facendo deprime il consumo, che a sua volta fa scendere la domanda globale, la produzione, l’investimento, insomma un cane che si morde la coda.
L’importanza che l’aspetto psicologico gioca nel fenomeno della deflazione dipende dalla composizione demografica del Paese in oggetto e dalle dimensioni del debito. Va da solo che più vecchia è la prima e più grande è il secondo tanto più difficile sarà contrastare le spinte inflazioniste.
In Giappone una popolazione in via d’invecchiamento è da almeno vent’anni convinta che prima o poi questo debito dovrà essere pagato, ciò fa presagire un futuro ancora più nero del presente. Fino ad oggi tutti gli sforzi del governo per far ripartire la spesa sono falliti proprio perché la popolazione è sicura che lo stato per ripagare il debito continuerà a tagliare salari, pensioni e assistenza sociale, ciò equivale a dire avrà un comportamento deflattivo. Di fronte a queste aspettative la gente non spende anche se il tasso d’interesse è a zero e la banca centrale pompa liquidità nel sistema, piuttosto risparmia quel poco che ha e quindi deprime ulteriormente l’economia.
L’esempio del Giappone, una nazione in deflazione dalla metà degli anni Novanta, ben illustra quanto sia difficile interrompere la spirale deflazionista una volta che il processo economico e quello psicologico si auto-alimentano.
In Europa, l’Italia e la Spagna sono le prime nazioni che rischiano di scivolare lungo la spirale deflazionista. L’Italia è insieme alla Germania quella che assomiglia di più demograficamente al Giappone ed anche quella con un rapporto debito pubblico/PIL più vicino in termini percentuali a quello giapponese.
Per ora le prospettive per il Bel Paese sono pessime: in agosto l’indice dei prezzi al consumo prodotto dall’Istat è sceso dello 0,1 per cento rispetto ad agosto del 2013. E’ la prima volta dal 1959 che questo succede, ma allora l’economia era in fase ascendente anche grazie agli aiuti economici del Piano Marshall e alla ricostruzione del dopoguerra. Oggi la situazione è ben diversa. Tutti gli indicatori economici sembrano preannunciare un autunno di deflazione: il tasso di disoccupazione è tornato al di sopra del 12 per cento ( 12,6 per cento); il Pil è sceso dello 0,2 per cento su base annuale; le esportazioni sono aumentate (1,9 per cento) meno delle importazioni (2 per cento).
A questo scenario sconfortante si deve aggiungere la dura posizione assunta dalla Germania nei confronti della politica monetaria espansiva ventilata da Draghi, che molti sono convinti aiuterebbe l’economia. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, ha infatti dichiarato che la banca centrale europea ha esaurito le munizioni per aiutare l’eurozona e ha aggiunto che il problema non è la scarsa liquidità ma l’eccessiva quantità di moneta in circolazione.
Secondo il governo di Matteo Renzi, invece, il problema centrale della nostra economia è proprio la mancanza di liquidità, che si manifesta attraverso la scarsa presenza di capitali esteri per l’investimento. Dato che non possiamo stampare moneta l’unico modo per ottenerla è farla arrivare dall’estero.
Ma pochi sono disposti a investire in un Paese dove il sistema legale è al collasso e quello di tassazione è tra i più alti al mondo. Ecco quindi la necessità di un pacchetto di riforme per far ripartire l’economia. Tutte approvate dal governo e ora da passare al vaglio del Parlamento.
Funzioneranno? Solo se non verranno annacquate dai politici per difendere le varie lobby o per tagliare le gambe a Renzi, ma soprattutto se riusciranno a rompere la paura psicologica che la popolazione ha di spendere e quella degli investitori stranieri di investire in una nazione in deflazione. Certo dopo anni di crescita negativa e di promesse infrante, trasformare il pessimismo in ottimismo è quasi impossibile.
Una soluzione radicale, che forse anche il Giappone dovrebbe prendere in considerazione è l’abbandono delle dottrine neo-liberiste, sulle quali, va detto, poggia l’apparato monetario ed economico dell’Unione Europea, a favore della nazionalizzazione del debito, con relativa cancellazione. Ma anche questa manovra rivoluzionaria potrebbe non funzionare se la popolazione non è disposta a cambiare in positivo le aspettative future e a rinegoziare la maturità dei titoli di stato per una data lontana nel futuro. Tutto ciò potrebbe richiedere il rinnovamento dell’intera classe politica.

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